S i é fermato davanti alle torri di Kenzo Tange come Napoleone davanti a quelle del Cremlino: quei palazzi restano il regno di Stefano Bonaccini e adesso Matteo Salvini dovrà riflettere inevitabilmente sugli errori compiuti. E sulla linea adottata: quei toni duri, ruvidi, talvolta grevi che hanno calamitato più del 30 per cento degli elettori emiliani e romagnoli ma non hanno sfondato in quell'area moderata, con una sensibilità vicina alla sinistra, a cavallo degli schieramenti.
Difficile fare i conti in assenza di controprova, ma citofonare a casa della famiglia tunisina al Pilastro, per chiedere notizie sullo spaccio, può aver allontanato molte persone tentate dalla rottura con una tradizione che durava da sempre. Nessuno naturalmente può negare il degrado e i problemi di un quartiere della periferia bolognese, ma l'incursione teatrale, un tanto al chilo, deve aver messo a disagio chi non ne poteva più di un sistema di potere antiquato e a tratti soffocante ma non ha trovato un'alternativa concreta, agile e lontana da una retorica da palcoscenico.
Non solo: un gesto del genere ha inevitabilmente rafforzato il «fronte del no», le Sardine e le diverse anime della sinistra che indicavano nel capo della Lega il nemico numero uno. Il cattivo da didascalia. Il pericolo, da demonizzare secondo meccanismi che si ripetono nella storia. La drammatizzazione ha funzionato, bloccando a metà del guado gli indecisi e spingendo invece chi si era rintanato in casa a tornare ai seggi per fermare l'avanzata dei barbari.
Cosi, anche se in tono minore, qualcosa è andato storto anche a Bibbiano, dove si sono confrontate le due piazze. Quella leghista e l'altra animata dalle Sardine.
La storia dei bambini «rubati» non è purtroppo una leggenda da sfatare ma storia terribile di questi anni e però infilare nell'arena politica i più piccoli, immersi con disinvoltura nel gelo del pomeriggio, insieme alle loro madri e alla mamma sventurata di Tommy, vittima innocente di un capitolo angosciante di cronaca nera, è parso di nuovo troppo.
Come se il leader, sempre un passo avanti e un passo prima della candidata Lucia Borgonzoni, non si volesse fermare nella sua corsa davanti a niente e nessuno. Pronto a tirare dentro la contesa qualunque tema, qualunque scandalo, qualunque fibrillazione.
In una successione vorticosa di eventi, comizi, blitz. Ecco cosi il Matteo assaggiatore, il Matteo pescatore e agricoltore, il Matteo vestito di rosso Ferrari a Maranello, dopo i costumi estivi e le scollature del Papeete, e poi ancora il Matteo di Bibbiano, ciucci, biberon e guerra alle istituzioni. Troppo e troppo di tutto, in un carosello che più di uno non ha apprezzato. La Lega non avanza ma arretra rispetto al picco delle Europee dell'anno scorso, perdendo due punti in Emilia (sostanzialmente recuperati però con l'1,7 per cento della lista civica targata Borgonzoni) e dimezzando addirittura i voti in Calabria, dove le truppe salviniane precipitano dal 22,6 al 10 per cento.
Scricchiolii. O chissà, scosse di assestamento di un movimento che in tempi rapidissimi ha stabilito un feeling con milioni di cittadini.
E che negli ultimi giorni sembrava in grado di fagocitare pure l'Emilia rossa. Cosi non è stato e resta da capire se si sia trattato solo di una battuta d'arresto o se Salvini, come Napoleone, abbia raggiunto il punto più avanzato del suo impero.
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