Seguiamo con moderato interesse il dibattito che ha preso spunto da una sorta di processo svoltosi a Torino per stabilire se si debba condannare a morte il liceo classico e lasciar vivere in pace quello scientifico o viceversa. La sentenza ha assolto il primo, ma il secondo ovviamente non morirà. Si è trattato infatti di una discussione platonica finalizzata a porre in luce pregi e difetti della nostra scuola. Non entriamo nel merito della questione, compito che lasciamo agli esperti, pur convinti che tanto esperti non siano, visto che hanno sorvolato sul vero problema: la putrida decadenza del nostro sistema educativo, cominciata negli anni Sessanta con l'introduzione della media unificata, cui va attribuita la responsabilità di aver abbassato il livello degli studenti fin dai primi anni di carriera scolastica.
L'istruzione di massa, voluta dalla sinistra (manco a dirlo), se da un canto ha favorito l'accesso alla cultura (esageriamo) di tutti o quasi, dall'altro ha prodotto un appiattimento mortificante, temiamo irreversibile. Appiattimento drammatico che è andato al di là dei limiti di guardia allorché le porte dell'università sono state aperte a chiunque abbia conseguito un qualsivoglia diploma di maturità. Esemplifichiamo: un geometra può iscriversi non solo ad architettura, ma anche a filosofia o a lettere antiche; un perito tecnico industriale ha diritto a frequentare giurisprudenza.
Abolito ogni ostacolo selettivo, quando i laureati postsessantottini - quelli del presalario - hanno fatto irruzione nel mondo del lavoro, non avendo tutti una gran preparazione (causa il voto politico), si sono rifugiati nella scuola bisognosa di insegnanti da inserire subito in organico, senza concorso, ovviamente. Stipendi modesti, ma posto sicuro, poca fatica, tre mesi di vacanza. Sempre meglio che lavorare sul serio. D'altronde la media unificata richiedeva di coprire urgentemente molte cattedre e il reclutamento di «professori» avveniva persino tra gli universitari al secondo anno. Fu un disastro sul piano della qualità dell'insegnamento.
Su questa strada, abbastanza velocemente la scuola si è avviata a diventare un ammortizzatore sociale non solo per parecchi dottori in cerca di occupazione, ma anche per gli studenti. Si è arrivati, a un certo punto, ad abolire i voti, sostituiti dai giudizi, riducendo le pagelle a ricettacoli di luoghi comuni (idiozie sociologiche e psicologiche). Eliminati gli esami di riparazione. Le bocciature, una rarità. Addio meritocrazia. Chiunque adesso si diploma e si laurea: bravi e asini, tutti nello stesso calderone.
Cosicché i genitori impegnati professionalmente, non sapendo dove parcheggiare i figli, li sbattono al liceo, all'istituto tecnico o industriale. Li piazzano lì e stanno tranquilli: tanto un pezzo di carta, prima o poi i rampolli lo rimedieranno di sicuro. Quanto a trovare loro un posto di lavoro, qualche santo provvederà. Male che vada, si ricorrerà a una risolutiva raccomandazione.
Altro che discettare di liceo scientifico e liceo classico. Qui non è sufficiente riformare (sinonimo di incasinare); serve rifondare tutto, eccetto forse le scuole primarie, non trascurando il corpo docente, pagato con la lesina. In altre epoche almeno i «prof» godevano di prestigio, ora annegato nella mediocrità degli attuali insegnanti, avviliti e incapaci di reagire.
In cattedra conviene mandare donne e uomini di notevole caratura, che abbiano superato prove assolutamente selettive; e che siano ben retribuiti. Solo così l'insegnamento tornerà ad essere meta di persone eccellenti e di buona formazione pedagogica, altrimenti ogni tentativo di riordinare il settore sarà velleitario.
Con professori motivati e autorevoli, sarà facile pretendere che la scuola sia di nuovo una fucina non di bamboccioni ignoranti, ma di ragazzi pronti a conquistare le più alte sfere della cultura, scientifica o umanistica, egualmente importanti e di pari dignità (e utilità).
E questo concetto è necessario ficcarselo in testa; piantiamola di distinguere schizzinosamente le materie scientifiche da quelle umanistiche, ritenendo le prime di seconda categoria. È un esercizio insensato, offensivo per l'intelligenza dei cittadini provveduti.
di Vittorio Feltri
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