Il Colle si chiama fuori dalla conta ma è pronto ad entrare in azione

Mattarella aspetta comunque il premier dopo la votazione

Il Colle si chiama fuori dalla conta ma è pronto ad entrare in azione

Ragazzi, un passo indietro. «Noi non partecipiamo a nessuna conta», dicono dal Colle con una punta di fastidio, mentre nel mercato del Senato si è scatenata la caccia all'ultimo voto. Queste del resto sono le regole della democrazia parlamentare. Il capo dello Stato non sta aiutando Giuseppe Conte a trovare i suoi «volenterosi», se ne guarda bene, anzi lo aveva avvertito: senza gruppi parlamentari finirai nel pantano. Però adesso non può e non vuole nemmeno mettersi di traverso alla campagna acquisti. Se il premier strapperà la fiducia, anche con una maggioranza stiracchiata, anche restando sotto quota 161, potrà comunque andare avanti come se nulla fosse. Certo, sarà «politicamente indebolito», un premier ammaccato, precario, instabile, magari incapace di reggere a lungo di fronte alla pandemia e di gestire gli aiuti del Recovery Plan: tuttavia legittimo. «Noi non diamo patenti né impartiamo cresime», precisano ancora al Quirinale. Quel lavoro spetta alle Camere.

Dunque neutralità assoluta, condizione necessaria per entrare in campo dopo. Quanto più Sergio Mattarella apparirà super partes, spiegano, tanto più sarà in grado di incidere in un secondo eventuale momento. E già, perché questa strana crisi che si trascina da mesi e che ha portato il governo sull'orlo del precipizio, formalmente non si è mai nemmeno aperta, Conte è sempre rimasto in carica.

Chiaramente prima o poi il presidente vorrà scambiarci quattro parole perché si è aperta «una fase nuova». Non c'è un appuntamento in agenda e nemmeno un obbligo istituzionale, ma per stasera dopo il voto una visita è gradita. Se verrà battuto, il premier salirà con il mandato in mano. Il capo dello Stato accetterà le dimissioni e aprirà le consultazioni alla ricerca di un'alternativa. A quel punto l'avvocato pugliese uscirà di scena e si rimetterà tutto in gioco, dal governissimo al gabinetto di scopo per il Recovery fino all'esecutivo elettorale.

Se invece la sfangherà, in qualunque modo, andrà al Quirinale come forma di cortesia: ci sono decine di precedenti di governi di minoranza e quindi Conte, pur senza arrivare ai 161 si, non sarebbe obbligato a dimettersi. Certo, risulterebbe ridimensionato, appeso sempre di più agli umori, oltre che del responsabili, pure di Italia Viva. Renzi avrebbe una golden share, esercitando una forma di appoggio esterno non dichiarato, volta per volta, a seconda dei provvedimenti in discussione. Un caos. Mattarella vorrà vederci più chiaro.

Si parlerà anche del rimpasto: lo stesso premier alla Camera ha annunciato di voler irrobustire la squadra. E pure di programmi.

La crisi sanitaria e quella economica incalzano, da Bruxelles filtrano dubbi sulle capacità italiane di far partire il piano di ricostruzione senza aumentare l'assistenzialismo. Il presidente chiederà perciò a Conte di stringere in fretta un nuovo patto di maggioranza attorno a una piattaforma condivisa. E di darsi da fare, perché il tempo sta per scadere.

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