Sono stati uccisi davanti al Palazzo di Giustizia di Teheran, nel Park-e Shahr, nel centro della capitale iraniana, e non molti in Iran stanno in queste ore piangendo per loro. Sono due giudici della Corte Suprema, famigerati per le loro condanne spietate, soprattutto nei confronti di oppositori politici del regime degli Ayatollah. Si tratta di Mohammad Moghiseh, noto con il soprannome di Naserian, 68 anni, e di Wal Muslimin Razini, 71. Un terzo collega è rimasto ferito così come una delle guardie del corpo. Il gruppo è stato assaltato con armi da guerra in pieno giorno e in pieno centro da colui che, secondo la televisione di Stato, era un dipendente del ministero della Giustizia, che si è tolto la vita dopo l'attacco prima che le guardie delle forze di sicurezza potessero intervenire. Secondo alcuni testimoni l'agguato sarebbe avvenuto all'esterno dell'edificio mentre secondo quanto riferisce il portavoce della magistratura Asghar Jahangir l'uomo sarebbe riuscito a infiltrarsi nella corte malgrado le armi. Secondo quanto si apprende l'uomo non aveva un caso giudiziario in corso in tribunale e si sospetta possa aver contare sulla complicità di altre persone, per individuare le quali gli investigatori stanno lavorando con prevedibile alacrità.
I tre giudici religiosi «seguivano casi di sicurezza nazionale, spionaggio e terrorismo», come ricorda l'agenzia stampa Isna. Razini, era già stato vittima di un attentato nel 1998, quando era a capo della magistratura di Teheran. All'epoca era stato preso di mira e ferito da una bomba attivata a distanza sul suo veicolo mentre lasciava il luogo di lavoro nella notte del 18° giorno di Ramadan. Razini è stato a capo del Tribunale religioso e ha emesso condanne a morte e pesanti pene detentive negli anni Ottanta, comprese quelle relative all'esecuzione di massa di migliaia di prigionieri politici nel 1988. Nel 2001, prese parte addirittura alla lapidazione di quattro condannati per reati di natura sessuale. Moqiseh era stato a capo del Tribunale rivoluzionario e del Tribunale speciale per i religiosi ed è stato uno dei giudici più importanti che hanno sostenuto la repressione, noto per i tanti episodi di violazione dei diritti umani in Iran. I dissidenti sopravvissuti alle esecuzioni lo descrivono come una delle figure giudiziarie più dure nelle carceri degli anni Sessanta. Ha svolto un ruolo importante, nell'estate del 1998, in qualità di supervisore della prigione di Qezalhasar a Karaj e direttore della prigione di Gohardasht. Ha emesso condanne a lungo termine nei confronti di leader bahài, attivisti politici e civili, manifestanti del Movimento Verde, giornalisti, lavoratori. «Il loro omicidio oggi è il risultato di comportamenti, procedure e repressioni del sistema giudiziario. Ciò che il vento semina, la tempesta raccoglie», ha commentato su Instagram Shirin Ebadi, vincitrice del premio Nobel per la pace.
Il portavoce Jahangir ha invece inquadrato il doppio omicidio in un contesto decisamente diverso, descrivendo le due vittime quasi come degli eroi: «La magistratura iraniana ha intrapreso azioni a tutto campo per identificare e arrestare i mercenari e le spie del regime sionista, i membri dell'organizzazione dissidente Mujahedin Khalq (Mko) e anche i loro elementi infiltrati».
Di conseguenza, «il confronto con la magistratura ha attirato la rabbia e il risentimento dei nemici, e questo ha portato all'assassinio del giudice Moghiseh e del giudice Razini», descrivendoli come «giudici rivoluzionari e coraggiosi, esperti nella lotta contro i crimini legati alla sicurezza nazionale, allo spionaggio e al terrorismo».
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