«Comando ancora io» Matteo riesuma i gufi e prepara la vendetta

«Legittimato dal popolo», con lui sette elettori su 10. Ma la minoranza resiste

Francesco Cramer

Roma Renzi mostra i muscoli: «Il Nazareno sono io», sembra dire l'ex premier, forte dello scontato successo nella più noiosa e inutile battaglia interna delle primarie del Pd. «Il capo sono io» perché a fronte di circa 2 milioni di elettori che si sono espressi, quasi 7 su 10 hanno scelto lui. Renzi canta vittoria e lo fa col piglio decisionista, giudicando gli avversari interni ed esterni come «gufi», dipinti sul suo zainetto fotografato e postato mentre era in treno per Roma. Non lo faceva da tempo, scosso dalla sberla subita al referendum che lo ha sradicato da palazzo Chigi. Adesso, però, Renzi si risente Fonzie. Anche esteticamente posto che si presenta al seggio di Pontassieve, accompagnato dalla moglie Agnese, col giubbino di pelle nera. Poi, la tradizionale messa della domenica e in serata il viaggio verso Roma per commentare i dati a caldo. L'esito è scontato: ha vinto lui con una sorta di plebiscito. Tutto cambia, quindi? Qualcosa sì. Il primo segnale è che, per la prima volta, Renzi fa mettere un palco sotto le stelle, sul terrazzo al terzo piano del palazzo che ospita la sede del partito a via del Nazareno. «Adesso comando io, ho la legittimazione popolare». In effetti non è sempre stato così, specie nel modo in cui s'è installato a palazzo Chigi.

E proprio della sua esperienza al governo parla Renzi su Facebook, appena chiuse le urne: «In molti pensano che quelli che fanno politica siano robot - scrive dal treno che lo riporta a Roma - Non è così. Anche se non sembra, siamo umani anche noi». Ed ecco la confessione: «Ho vissuto cinque mesi non facili dopo la sconfitta referendaria». Ma la lezione non gli è servita, anzi. Insiste: «Rifarei domattina quella battaglia. Una battaglia persa non è una battaglia sbagliata. Sono più convinto oggi di cinque mesi fa che l'Italia avesse bisogno della svolta istituzionale che proponevamo: se fosse andata diversamente oggi l'Italia sarebbe più forte, in Europa e non solo. E la politica non stagnerebbe in una palude di imbarazzanti ritardi, a cominciare dalla melina sulla legge elettorale. Ma il popolo ha deciso e il popolo ha sempre ragione».

Renzi confessa che dopo la sconfitta ha pensato di chiudere con la politica, come del resto annunciato più volte in tv e non solo: «Quando mi sono dimesso, volevo davvero mollare tutto. Dopo anni di impegno totalizzante per la cosa pubblica, volevo pensare a me, ai miei, ai fatti miei. Non mi vergogno di dirlo: volevo mettere al centro il mio futuro». Poi, però, ha cambiato idea. E le primarie, i tanti militanti che ieri si sono espressi, sono lo strumento che gli permettono di rimangiarsi l'addio alla politica: «Sono stato circondato dall'affetto, dalla cura, dall'esigente attesa, anche dalla rabbia di tantissime donne e uomini. La maggioranza di queste persone non le conosco personalmente ma è come se fossimo amici da sempre». E ancora: «Queste persone mi hanno costretto a guardarmi in faccia. Mi hanno costretto a fare i conti con la parola responsabilità». Cita Ligabue: «Ho fatto in tempo ad avere un futuro, che non fosse soltanto per me. Stanotte sapremo come è andata la grande sfida delle primarie. Sapremo se come canta ancora il Liga faremo in tempo ad avere un futuro che fosse molto più grande di me: magari ne merito un altro di nuovo, dove comunque ci sei anche te».

La sensazione è che Renzi si sia preso una bella rivincita

nei confronti della minoranza interna che tuttavia è ridimensionata ma non morta. La spina nel fianco è ridotta ma può ancora far male qualora l'ex premier forzasse la mano su alleanze, futuro del governo, legge elettorale.

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