Comunione e divorzio, lo scisma sommerso che spacca la Chiesa

Una parte dei parroci non rispetta il divieto della comunione a chi ha infranto il vincolo del matrimonio. E il Papa lo sa

Comunione e divorzio, lo scisma sommerso che spacca la Chiesa

Pubblichiamo alcune parti del libro "Amore e sesso ai tempi di Papa Francesco" (ed. Piemme) di Ignazio Ingrao, vaticanista di Panorama. L'autore svela alcuni retroscena del Sinodo sulla famiglia e nello scontro che spacca la Chiesa.

È stato chiamato lo «scisma sommerso». Il primo a lanciare l'allarme è stato un filosofo, Pietro Prini. Era il 2002 ed era chiaro ormai da tempo che si era aperto un solco profondo, forse incolmabile, tra la dottrina ufficiale della Chiesa e la coscienza dei fedeli. Dopo l'intuizione del filosofo sono arrivati i dati statistici a confermare questa lettura, quindi le analisi dei sociologi.

Oggi è incontestabile: la secolarizzazione è penetrata profondamente nella vita, verrebbe da dire nel dna della famiglia. Nei comportamenti personali, nei modi di vedere e di sentire le relazioni affettive, nei rapporti di coppia e nei legami familiari. Per dare un'idea bastano i dati suggeriti dal sociologo Marco Marzano: «Nel 1991 si celebravano in Italia 257.000 matrimoni religiosi, nel 2008 il loro numero è sceso a 156.000». E Franco Garelli nella ricerca L'Italia cattolica nell'epoca del pluralismo rileva senza mezzi termini: «I giovani cattolici impegnati sono nel complesso favorevoli ai rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, se essi rispondono ai criteri dell'affettività e della comunicazione reciproca tra i partner».

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I matrimoni religiosi mostrano una migliore capacità di resistenza, ma non sono immuni dall'andamento generale. Scrive ancora l'Istat: «Le nozze religiose risultano essere più stabili. A sopravvivere alla “crisi del settimo anno”, nel 2012, sono 933 matrimoni religiosi su 1.000 celebrati nel 2005 contro 880 su 1.000 matrimoni della stessa coorte celebrati con rito civile». Tuttavia, e questo è un altro dato molto significativo, crescono anche le cause di nullità matrimoniale dinanzi ai tribunali ecclesiastici con numeri di tutto rispetto: nel 2003 in Italia si sono registrate 2.278 sentenze di nullità matrimoniale in prima e seconda istanza (vale a dire in primo grado e in appello) pronunciate dai tribunali ecclesiastici, secondo i dati forniti dall'Annuario statistico della Chiesa. Nel 2012 la cifra è cresciuta a 2.413 sentenze di nullità. Nel mondo le nullità matrimoniali accertate dai tribunali canonici, con processo ordinario e documentale, nel 2012 sono state complessivamente 49.810. Nello stesso anno si contavano in Italia 7.035 processi per nullità matrimoniale pendenti davanti ai giudici ecclesiastici in prima e seconda istanza.

Certo non si può parlare di «divorzio cattolico», tuttavia i numeri sono imponenti. Le granitiche affermazioni dottrinali dell'esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Familiaris Consortio , del 1981, che abbiamo visto nel capitolo precedente, oggi sono chiamate a fare i conti con queste cifre. Resta il cardine su cui ruota tutto quel documento: «Il principio interiore, la forza permanente e la meta ultima» della famiglia è l'amore, «come, senza l'amore, la famiglia non è una comunità di persone, così senza l'amore, la famiglia non può vivere, crescere e perfezionarsi come comunità di persone» (n. 18). Tuttavia qualificare le «unioni libere di fatto» come «grave scandalo» ed espressione di «disprezzo, di contestazione o di rigetto della società, dell'istituto familiare, dell'ordinamento socio-politico, o di sola ricerca del piacere» (n. 81) probabilmente merita un ripensamento. E c'è chi denuncia ancora la diffusa freddezza e indifferenza della comunità cristiana di fronte alla situazione di chi è separato e divorziato. O peggio l'imbarazzo. Come racconta Silvia in una testimonianza raccolta dal Servizio per la famiglia dell'arcidiocesi di Milano: «Mi sono separata trent'anni fa, quando un'azione del genere all'interno di una bella e giovane famiglia con quattro figli destava un grande stupore, un inspiegabile evento, un turbamento e disagio minaccioso. Avevo quarantatré anni e ventidue di matrimonio alle spalle. Ero ben inserita nella mia realtà parrocchiale, peraltro molto vivace e “moderna”, avevo fatto anche la catechista e mi occupavo di interventi nel sociale. All'improvviso, gli antichi riferimenti, il parroco, i parrocchiani con cui avevo condiviso tante ore, gli amici di sempre, tutti spariti, come neve al sole. E com'era gelido quel sole!».

Al sinodo persino un cardinale ha portato la sua esperienza di figlio di divorziati: Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna. «I miei genitori hanno divorziato quando avevo tredici anni. Per me è stato estremamente doloroso. Direi che il momento più difficile della mia vita è stata la sera in cui ho appreso che i miei genitori avrebbero divorziato. Ma noi figli non eravamo persi. La famiglia - cugini, zii - si sono impegnati per noi figli, per mia madre, anche per mio padre. La famiglia si è sostituita al fallimento del matrimonio» ha raccontato il presidente della Conferenza episcopale austriaca e i padri sinodali sono rimasti molto colpiti. Ma c'è un importante elemento di novità: la questione dei divorziati e delle convivenze non riguarda più solo il mondo occidentale, l'Europa, l'America del Nord, come si è sempre creduto. Asia e Africa vivono ormai la stessa esperienza.

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Il Papa ha ben presente la realtà della famiglia nel contesto metropolitano e sa perfettamente che nel concreto della pratica pastorale molti sacerdoti e molte parrocchie non rispettano più il divieto di dare la comunione ai divorziati risposati, ai conviventi e a coloro che si sono sposati solo civilmente. Quello che secondo la Familiaris Consortio è «uno scandalo» viene ormai compiuto da molti sacerdoti, senza fare troppa pubblicità. Così come quello che è il presupposto per dare la comunione: vale a dire assolvere normalmente in confessione anche conviventi e divorziati risposati.

Ha destato molto clamore la rivelazione di una telefonata che a questo riguardo avrebbe fatto Papa Francesco a una donna argentina qualche mese prima del sinodo. Jakelin Lisbona è sposata solo civilmente da diciannove anni con un uomo divorziato, Julius Zabeta e hanno due figli. «Andiamo a messa tutti i giorni, preghiamo tutte le sere e quando abbiamo un problema chiediamo aiuto a Dio», ha raccontato Jakelin a radio La Red AM 910 di Buenos Aires il 23 aprile 2014. Ma il parroco di Jakelin non voleva darle l'eucaristia. Così lei ha scritto a Papa Francesco. E Bergoglio, secondo il suo racconto, l'avrebbe chiamata: «È squillato il telefono e ha risposto mio marito. Ha detto che era il padre Bergoglio. Il padre aveva chiesto di me, e mio marito: “Da parte di chi?”. Lui ha risposto: “Il padre Bergoglio”. Io gli ho domandato se era davvero lui, il Papa, e mi ha detto di sì, che stava rispondendo alla mia lettera del mese di settembre». Jakelin ha ripetuto a Francesco il suo dramma e il Pontefice le avrebbe risposto: «Ci sono dei preti più papisti del Papa». Quindi le avrebbe suggerito di «andare a prendere la comunione in un'altra parrocchia».

La Santa Sede non ha confermato ufficialmente perché, ha spiegato, si è trattato di «un colloquio privato del Santo Padre». Ma tanto è bastato per infiammare il dibattito. E forse questo racconto non è troppo lontano da quello che il Pontefice pensa realmente.

Probabilmente Bergoglio ha parlato così perché non pensava che le sue parole sarebbero state rese note o forse ha detto anche dell'altro a Jakelin che noi non sappiamo. In ogni caso il sasso è finito nello stagno e ha sollevato molte onde.

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