Il vero segreto che Pierluigi «Gigi» Concutelli, morto ieri a 79 anni, si porta nella tomba non sono i delitti, le stragi, i rapporti occulti di vario tipo - sempre ventilati e mai provati - con i servizi segreti. Il segreto è cosa davvero avessero in mente, quale tipo di futuro vagheggiassero, lui e il restante gruppo di neofascisti che dalla fine degli anni Settanta decisero di prendere armi contro lo Stato, ammazzando avversari presunti e camerati infedeli, e finendo inesorabilmente in carcere a scontare ergastoli su ergastoli. Se nel delirio dell'altra fazione, Brigate Rosse e quant'altro, era almeno presente una realtà concreta di riferimento - l'inferno chiamato rivoluzione culturale cinese - nessuno ha mai saputo dire quale modello di società potesse essere il punto di approdo del fanatismo superomista che portò qualche decina di uomini e donne a sacrificare le vite altrui e la propria infilandosi in un tunnel senza via d'uscita. Era chiaro il loro Gotha ideologico, gli Evola e i Mishima, i Romuldi e i Celine, e il crepuscolo della Repubblica di Salò era sicuramente un mito fondativo. Ma cosa cavolo avessero in mente per il domani, beh, questo forse non lo sapevano neanche loro.
In questa confusione politica e forse anche mentale, era inevitabile che alla fine prevalessero la componente militare, l'azione per l'azione, il sangue per il sangue. Prima in Ordine Nuovo, poi nella clandestinità, Concutelli si trova a primeggiare insieme a un manipolo di pari grado, di cui fino a ieri era l'unico sopravvissuto. Stefano Delle Chiaie, Paolo Signorelli, tutta gente cresciuta tenendo sul comodino il ritratto di Junio Valerio Borghese, il principe nero della X Mas. A ronzare intorno a loro, due bei ragazzi romani, Giusva Fioravanti e Francesca Mambro: ma mai davvero dei loro, mai fino in fondo considerati affidabili. Troppo cani sciolti, troppo poco inquadrati.
Così quando c'era da agire Concutelli lo faceva di persona. Va lui di persona nel 1976 ad ammazzare Vittorio Occorsio, il giudice che aveva osato indagare su Ordine Nuovo, prima che il movimento venisse sciolto dal ministero degli Interni. «Ordine Nuovo se ne frega», fu la risposta in vernice nera sui muri di Roma, accompagnata dalla croce celtica. Lo scioglimento peggiorò le cose, ad andare avanti furono i peggiori, un gruppo di fanatici si trasformò in una banda criminale dedita a rapine e sequestri. Sulla spartizione di un grosso bottino rapinato al ministero del Lavoro si consumò la rottura con Signorelli, estromesso dal movimento su ordine di Concutelli.
Poi arrivò l'arresto, in via dei Foraggi, a Roma, grazie alla soffiata di un camerata pentito. Invece che chiudersi lì, la carriera criminale di Concutelli si impennò: perché in carcere incontrò Mario Tuti, un camerata che faceva mille piegamenti sulle braccia al giorno, e insieme diventarono il terrore degli «infami», i detenuti sospettati di parlare troppo con gli inquirenti. Decapitarono Ermanno Buzzi, un piccolo balordo diventato il testimone chiave sulla strage di Brescia, poi uno dei vice di Delle Chiaie, Carmine Palladino, sospettato anche lui di voler saltare il fosso. Ammazzamenti brutali che ieri Tuti rivendica con toni quasi commossi, «è una cosa che abbiamo fatto nel segno di quella militanza comune che dava il senso a quegli anni di prigionia, dove il sistema giudiziario aveva fatto il possibile per renderci non solo cattivi, ma anche feroci».
Da dieci anni Concutelli era fuori, ridotto male da un'ischemia.
Il necrologio più significativo glielo fa forse uno della sponda opposta, il brigatista rosso Raimondo Etro, che lo aveva conosciuto in carcere: «Una volta lui mi disse: In ogni rivoluzionario, c'è un romantico. Lì per lì non afferrai il senso della frase. Poi ci pensai su e mi resi conto che, qualcuno, sia a sinistra che a destra, ci aveva presi per il culo».
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