Condanna per frode per Mazzaro, l'ex della Santanchè

La sentenza sulla vendita fraudolenta dello yacht "Unica" per aggirare il fisco

Condanna per frode per Mazzaro, l'ex della Santanchè
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Due anni e mezzo di carcere e la confisca di 644mila euro. È la condanna inflitta a Milano a Giovanni Canio Mazzaro (nella foto), ex compagno della ministra del Turismo Daniela Santanché, imputato davanti alla seconda sezione del Tribunale, giudice monocratico Emanuele Mancini. Avrebbe venduto, secondo l'accusa, lo yacht «Unica» con lo scopo di «fare sparire l'unico bene aggredibile e il suo provento». Santanché, che firmò gli atti della compravendita, era stata già indagata e poi archiviata a gennaio scorso.

Due le accuse contestate a Mazzaro: dichiarazione infedele dei redditi e sottrazione fraudolenta dei beni al pagamento delle imposte.

Con l'obiettivo di sottrarla alle pretese dell'Agenzia delle entrate, avrebbe venduto - questa è la tesi del pm Paolo Filippini - la barca Unica a una società di Malta, la Flyingfish Yachting Ltd, interponendo la società Biofood Italia srl di cui Santanché era all'epoca presidente e legale rappresentante. «Ci aspettavamo un esito diverso, proporremo appello una volta lette le motivazioni (tra 90 giorni il deposito, ndr)», ha sottolineato l'avvocato Matteo Mangia dopo la lettura del verdetto. La tesi dell'accusa, con la procura che aveva chiesto la condanna a 3 anni di carcere e la confisca di 393 mila euro, è che Mazzaro abbia fatto confluire tutti i compensi alla società M Consulting, al 99 per cento di proprietà della madre: una società «schermo» costruita ad hoc, nonché una sorta di «cassaforte personale» per evitare di dichiarare redditi e spese da privato cittadino. Tra queste la procura contesta anche segnaposti in argento, tre tappeti, vestiti di sartoria indicati come divise da lavoro, cure dentali e l'uso di una Ferrari. Avrebbe anche fatto confluire «le retribuzioni e gli emolumenti percepiti in relazione a cariche sociali e prestazioni professionali e manageriali», percepiti all'epoca in cui era presidente della società Pierrel.

Secondo la difesa dell'imprenditore «se noi diamo una lettura complessiva delle fatture, non ce n'è una che porta a dire che questi beni siano andati sicuramente a Mazzaro, quindi manca il reato presupposto dall'accusa». E anche che l'Agenzia delle Entrate ha analizzato solo nove fatture che sommate hanno un valore di 36mila euro. «Anche se fossero riferibili a lui - la tesi difensiva - siamo sotto la punibilità della tassa evasa».

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