Solo tre parole, asciutte, striminzite, sussurrate verso il tramonto nella penombra del palazzo: riservatezza, attenzione, cautela. Tre parole, ma bastano forse per dare il senso della trattativa, dell'intenso lavorio sotto traccia, della delicatezza di una materia che da almeno trent'anni divide in due il Paese, la giustizia. E della portata dei dubbi di Sergio Mattarella, che infatti invita alla prudenza. Niente strappi, evitiamo pericolosi scontri istituzionali. L'obbiettivo generale deve essere lo stato di diritto e il perfetto funzionamento dei tribunali.
La prima è dunque «riservatezza», infatti l'incontro serale al Colle con il guardasigilli Carlo Nordio e il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano resta avvolto tutto il giorno in un alone di mistero. La delegazione del governo, composta ai massimi livelli, sale al Quirinale per illustrare al capo dello Stato il testo della riforma che sarà presentata al Consiglio dei ministri. L'asse portante è la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, il problema ancora irrisolto è la composizione del nuovo Csm. Saranno due distinti o uno solo come adesso, presieduto sempre dal capo dello Stato? Sull'argomento Mattarella non si espone, soprattutto a due settimane scarse dalle elezioni europee, e quindi consegna il dossier al consigliere giuridico Daniele Cabras. E il colloquio è sereno e costruttivo, come riferiscono fonti della maggioranza, ma talmente riservato che ufficialmente non esiste. «Da qui non uscirà un soffio», dicono gli uomini del presidente.
Ma la seconda parola è «attenzione», perché ovviamente il Quirinale si dimostra sempre molto attento alle iniziative del governo, in particolare quando toccano aspetti costituzionali. Quindi ascolta, chiede informazioni e lascia che gli uffici si occupino dei dettagli tecnici. Tutto ciò, si fa notare, è parte integrante del normale lavoro di «interlocuzione». Una «normalissima» consultazione preventiva, come è successo ad esempio la scorsa settimana con i decreti economici, Mattarella, che per ruolo difende e diffonde i valori della Carta, non è contrario per partito preso a riletture e aggiustamenti, purché i cambiamenti vengano effettuati con il maggior consenso possibile e senza traumi. E qui si incrocia con l'esigenza di Giorgia Meloni di portare a casa la separazione delle carriere evitando un muro contro muro con il Colle. Già avrà le toghe sulle barricate e le opposizioni contro, tranne Italia Viva e Azione, perciò Palazzo Chigi di un braccio di ferro con il Quirinale non ne sente alcun bisogno. La Meloni cerca anzi, se non una copertura, un via libera istituzionale. Ecco il perché della scelta di spedire Nordio e Mantovano a spiegare la riforma.
E qui si inserisce la terza parola di giornata, «cautela». La prudenza della premier e quella invocata da Mattarella, visto che si tratta di temi potenzialmente incendiari. «La separazione delle carriere c'è nei fatti già da qualche anno - ha detto il sottosegretario a Sky tg24 - ed è stata realizzata nella sostanza con la riforma Cartabia che rende complicato il passaggio da pm a giudice». Il passo avanti sarebbe separare i due Csm per «ridimensionare il ruolo delle correnti». Altri punti sospesi, che dividono pure la maggioranza, la creazione di una corte disciplinare autonoma e l'inserimento in Costituzione del ruolo dell'avvocatura.
Visto dall'ottica del Colle, tutto legittimo ma tutto assai complicato. Tra l'altro la riforma della giustizia si somma politicamente al premierato. Marta Cartabia l'ha bocciata.
«Si confida nella forza del leader per dare stabilità al sistema. Una scelta discutibile, una semplificazione rischiosa». Spesso le parole dell'ex ministra vengono interpretate come se ispirate dal Colle: sarà così anche stavolta?
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