Confermato l'ergastolo ma il nipote killer è fuggito

Bozzoli non si è fatto trovare dopo la sentenza della Cassazione. Non aveva misure cautelari: polemica

Confermato l'ergastolo ma il nipote killer è fuggito
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Quando lunedì sera, dopo che la Cassazione ha confermato la sua condanna all'ergastolo per l'uccisione dello zio, i carabinieri sono andati a prenderlo nella sua casa sul Lago di Garda, non l'hanno trovato. Giacomo Bozzoli non era lì ad aspettare la decisione dei giudici, come aveva detto ai militari suo padre in udienza. La villa a Solano era chiusa, l'erba in giardino alta, scomparsi da giorni - secondo i vicini - anche la moglie e il figlio piccolo. Giacomo Bozzoli è stato dichiarato irreperibile, tecnicamente non ancora latitante ma lo sarà a breve se non si costituirà, ricercato anche all'estero, con il nome inserito in tutte le banche dati italiane ed europee, per l'omicidio di Mario Bozzoli, lo zio imprenditore gettato nell'altoforno della fonderia di famiglia nel Bresciano nel 2015. Un delitto per il quale in questi nove anni, trascorsi in libertà mentre la complessa vicenda giudiziaria faceva il suo corso, si è sempre detto innocente. Non appena la magistratura firmerà i decreto di latitanza potranno essere utilizzati mezzi più efficaci, come le intercettazioni, per cercarlo. Per i giudici Giacomo avrebbe covato a lungo l'omicidio dello zio Mario, titolare della fonderia al 50 per cento con suo padre Aldo, per dissidi legati alla gestione dell'azienda. Per i giudici che lo hanno condannato in tre gradi di giudizio, l'imputato nutriva «odio ostinato e incontenibile» nei confronti del parente che riteneva «colpevole di intralciare i suoi progetti imprenditoriali». Sospetti di cui avrebbe parlato con conoscenti e con la ex fidanzata, a cui avrebbe anche raccontato di un piano per ucciderlo. Questo il movente in cui sarebbe maturato il delitto. La scomparsa di Mario risale all'8 ottobre del 2015. Dopo aver chiamato la moglie per dirle che l'avrebbe raggiunta a cena in un ristorante sul lago sparì nel nulla, lasciando l'auto nel parcheggio della fonderia e gli abiti non da lavoro nello spogliatoio. Il suo cellulare non venne mai trovato. Quel giorno nello stabilimento c'erano altri operai, due dei quali coinvolti. Il mistero della scomparsa si è intrecciata con la strana morte di uno di loro, una settimana più tardi. Si chiamava Giuseppe Ghirardini ed è stato trovato senza vita in un bosco con una capsula di cianuro nello stomaco. Poche ore prima di sparire aveva postato questa frase sui social: «Guardati bene le spalle sempre. Pugnalate arrivano da chi meno te lo aspetti». I magistrati non hanno mai avuto dubbi sul fatto che le due vicende siano collegate, anche se l'inchiesta per istigazione al suicidio è stata archiviata. La tesi emersa dal processo è che Giacomo abbia aggredito lo zio - con il quale c'erano dissidi sulla gestione dell'azienda e il quale era allarmato per le trame truffaldine dei parenti che si sospetta gonfiassero fatture, risparmiassero sulle leghe e avessero raggirato l'assicurazione - vicino a forni per poi affidare il corpo a Ghirardini, pagato per gettarlo in quello grande. Tra gli indizi i giudici citano nelle motivazioni la fumata anomala delle 19,18 in fonderia quando il corpo della vittima sarebbe stato carbonizzato e immerso nel bagno di metallo fuso. Durante il processo di primo grado è stato fatto anche un esperimento giudiziale, tra le proteste degli animalisti, con un maiale bruciato in una fonderia per «simulare» la distruzione del cadavere. «Soltanto illazioni», ha sempre replicato la difesa, con Giacomo che ha tentato, in lacrime, di fare leva sui giudici in un ultimo disperato appello: «Capisco il grande dolore della famiglia di mio zio, ma voi dovete capire il mio, per essere stato condannato per qualcosa che non ho commesso.

Due mesi prima della sparizione di Mario vivevo il momento più bello della mia vita perché era nato mio figlio. Vi giuro su ciò che ho di più caro che sono innocente». Ora che si stavano aprendo le porte del carcere Giacomo ha scelto di sparire.

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