Più povertà per tutti. È il risultato dell'impennata dell'inflazione che, determinando una contrazione del Pil, «restringe» la ricchezza prodotta e, di conseguenza, il reddito disponibile. Secondo l'Ufficio studi della Cgia di Mestre, gli effetti della guerra in Ucraina produrranno per l'anno in corso una riduzione del Pil di 24 miliardi di euro reali che corrisponde a una perdita di potere d'acquisto medio per ciascuna famiglia italiana pari a 929 euro. A livello territoriale le famiglie più penalizzate saranno quelle residenti in Trentino Alto Adige (-1.685 euro), nella Valle d'Aosta (-1.473 euro) e nel Lazio (-1.279 euro). Gli artigiani mestrini hanno calcolato l'impatto del contesto recessivo confrontando le previsioni di crescita del Pil realizzate prima dell'avvio del conflitto con quelle successive all'invasione russa. Da queste emerge che la diminuzione della ricchezza prodotta nel nostro Paese sarà dell'1,4 per cento equivalenti a 24 miliardi di euro che, rapportati ai 25 milioni di famiglie presenti in Italia, si traduce in una perdita di potere d'acquisto per ciascun nucleo di 929 euro.
Ovviamente, in caso di deterioramento del clima macroeconomico, le stime della Cgia di Mestre dovranno essere ulteriormente riviste al ribasso. Ed è proprio a questo scenario che ha guardato ieri il Centro studi Confindustria (CsC) nella Congiuntura flash. Un eventuale blocco all'import di gas russo avrebbe «un impatto pesante» tale da creare «uno shock su volumi e prezzi». Gli economisti di viale dell'Astronomia stimano che lo stop potrebbe causare una forte carenza di volumi di gas per industria e servizi e un aumento addizionale dei costi energetici. «L'impatto totale sul Pil in Italia, nell'orizzonte 2022-2023, è stimabile in quasi un -2,0% in media all'anno», si legge nell'approfondimento. L'industria, infatti, verrebbe privata di tutta la fornitura di gas di cui necessita (cioè i 9,5 miliardi di metri cubi annui consumati finora), mentre i servizi subirebbero una riduzione delle forniture di gas pari a 4,5 miliardi di metri cubi (su 7,8). La stima del CsC è di una perdita di valore aggiunto nell'industria pari a 9 miliardi di euro nel periodo di 12 mesi, cui va sommata quella nei servizi pari ad altri 9 miliardi. A questo andrebbe sommato l'impatto sull'economia che deriverebbe da un potenziale rincaro ulteriore dei prezzi delle commodity energetiche.
Un fenomeno che già osserviamo quotidianamente. Molto più del 6% della media annua dell'inflazione ad aprile è direttamente osservabile il caro-caffè al bar. Il prezzo medio nazionale sfiora gli 1,10 euro contro gli 1,038 euro del 2021 (+5,92%), ha calcolato Assoutenti. La città dove una tazzina costa di più è Trento: l'espresso consumato al banco in media a 1,25 euro, 1,24 euro a Bolzano. Anche a Cuneo il caffè costa 1,24 euro. In ben 3 province dell'Emilia Romagna (Ferrara, Ravenna e Reggio Emilia) l'espresso abbatte la soglia psicologica di 1,20 euro, così come in Veneto (Rovigo e Venezia). Il caffè più economico d'Italia è quello servito dai bar di Messina (0,89 euro), seguita da Napoli, città dove l'espresso è una tradizione storica (0,90 euro).
E dal primo luglio 7 milioni di utenti italiani subiranno un altro rincaro: quello del Telepass che nella versione «Family» (quella più popolare) passerà da 1,26 a 1,83 euro mensili con un aumento del 45,2% spiegato con gli incrementi dei costi sopportato dal gestore Autostrade per l'Italia. Più ridotto l'incremento dell'opzione «Premium» (che prevede servizi aggiuntivi, sconti e un secondo dispositivo) che passerà da 2,10 a 2,38 euro mensili (+13,3%).
Per Telepass è il primo rincaro in 25 anni ed è segno dei tempi «nuovi». In ogni caso, i sottoscrittori avranno la possibilità di recedere dal servizio entro il 30 giugno. Ovviamente, accettando di fare la coda al casello quest'estate.
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