Bennett l'ha ripetuto giustificando la sua scelta, come tutti si aspettavano, e presentandola come un sacrificio politico e personale: è per evitare le quinte elezioni in due anni che accetto di far parte del «governo del cambiamento» di cui sarò il primo ministro, dato che Netanyahu non ha i numeri. Ma non è vero: la destra avrebbe avuto i numeri, ma ha fatto i capricci, si è spaccata, si è abbandonata all'estremismo di Smotrich che ha dichiarato che con l'appoggio arabo non avrebbe mai accettato, e poi, e soprattutto, all'ambizione personale di Naftali Bennett, capo di Yemin, la Destra, e di Gideon Sa'ar; e sempre a destra, anche l'odio inveterato di Lieberman ha bloccato quella che era la scelta degli elettori. Bennett, Sa'ar, Lieberman e anche Benny Gantz: tutti avevano un conto aperto con Netanyahu.
Così adesso Bennett il giovane, capace tecnocrate, ufficiale di valore, critico sì, ma fino a ieri da destra, farà il primo ministro a rotazione, prima di Yair Lapid. Sarà il primo anche se ha meno uomini per il maggiore sacrificio ideologico: a lui il premio più grande, e anche l'accusa di aver tradito e venduto tutto il suo patrimonio ideale. La sua base ribolle, e difficilmente accetterà che la metta in gioco col partito Meretz, ultrapacifista e amico di Abu Mazen, o con Yair Lapid, che non può soffrire i religiosi, appena un po' meno di Lieberman che li vuole tutti coscritti. Ma Bennett ha ceduto a due spinte che il suo carattere ambizioso gli ha imposto: l'occasione unica di essere il premier del piccolo Stato a cui il mondo intero guarda dicendogli ogni giorno «non posso vivere né con te né senza di te», e soprattutto far fuori lo statista che da 12 anni siede in Rehov Balfour, riconosciuto come un leader storico da chi lo ama e da chi lo odia, come Sa'ar, come Lieberman, come tanti altri che lo accusano di arroganza, noncuranza, prepotenza.
Ma Bennett aveva promesso ai suoi elettori di non fare alleanze con Lapid, di restare fedele al guscio della destra. È un impegno che adesso sarà difficile mantenere: significa liberalismo economico accentuato, apparato della difesa forte e deciso di fronte ai pericoli, fedeltà al sionismo delle origini, compresa la questione dei territori disputati e dei cosiddetti «coloni» di cui Bennett è stato sempre un sostenitore, tanto quanto altri membri del nuovo governo li detestano. Ma la proposta della rotazione con Lapid lo affascinava da tempo, e adesso vi è tornato dopo il breve ripensamento durante le operazioni a Gaza e gli scontri con gli arabi israeliani. Quando avranno realizzato il sogno «chiunque fuorché Bibi» cosa resterà a questo gruppo? La verità è che Netanyahu, che sembra potere uscire indenne anche dall'assalto giudiziario, sarà un macigno sulle spalle dei partitini al governo lontani fra di loro e senza un leader in comune.
Netanyahu è il primo ministro che parla, d'accordo o no, a tutto il mondo e a tutta Israele. e che tutti considerano anche per la severità nel considerare la sicurezza di Israele e insieme per la disponibilità a condividerne i risultati col mondo minacciato dal terrorismo; è, oggi soprattutto, il leader che ha salvato con un'azione unica, il suo Paese dalla pandemia.
Adesso come potranno Yair Lapid, C'è un futuro, Blu e bianco di Benny Gantz, Israele casa nostra di Avigdor Lieberman, Gideon Sa'ar con Nuova speranza, fin qui di destra o di centrosinistra, Meerav Michaeli, laburista, Tamar Zandberg del partito radicale estremista, e il futuro primo ministro con 5 o 6 seggi di Yemina, la Destra, parlare con una voce forte a fronte della nuova ipotesi di accordo con l'Iran cui Joe Biden tiene moltissimo e che Netanyahu aveva reso una battaglia principale dello Stato d'Israele? Il recupero dell'economia dopo il Covid, l'eventuale guerra a Gaza se Hamas dovesse attaccare di nuovo, o in Libano con gli
Hezbollah, o il rapporto con Abu Mazen, la politica verso gli insediamenti, gli Accordi di Abramo... Tutti temi su cui dei convegnisti possono discutere a lungo. Ma in Israele spesso la decisioni si prendono al volo, pena la vita.
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