«Ma noi del Pd siamo sicuri su Massimo Luciani?». Nel giorno in cui il premier Giorgia Meloni apre all'accordo con l'opposizione sui quattro giudici della Corte costituzionale, nel partito di Elly Schlein è scoppiato lo psicodramma. «L'accordo c'è e reggerà fino al 14 - assicura una fonte che ha seguito le trattative tra i partiti - tanto che il presidente facente funzioni Giovanni Amoroso ha spostato la seduta della Consulta che deve decidere sull'ammissibilità dei referendum abrogativi sull'Autonomia differenziata prevista per il giorno prima. Quello è il segnale che i giochi sono fatti».
Servono i tre quindi dell'Aula, quindi 363 voti. La maggioranza non è autosufficiente, ma i ripensamenti fanno parte del gioco, soprattutto se a cambiare idea è il principale partito d'opposizione, che finora ha giocato a ciapà no con un mezzo Aventino e le barricate in Aula pur di non assecondare le decisioni del premier, che alla Consulta vuole il suo consigliere giuridico Francesco Saverio Marini, figlio d'arte dell'ex presidente della Corte costituzionale Annibale e padre a sua volta della riforma del premierato, tanto osteggiata dal Deep State che gioca a fare e disfare.
È lui il punto fermo dell'intesa, che prevede un giudice per Forza Italia, uno all'opposizione e un tecnico di area popolare. Uno dei tre deve essere una donna, come l'ex giudice Silvana Sciarra, a riposo da novembre 2023. Il profilo giusto sembra quello della giurista cattolica Valeria Mastroiacovo, assistente di studio presso la Consulta di Luca Antonini (giudice in quota Carroccio), anche se dentro la maggioranza c'è un nome «istituzionale» che resta coperto, almeno finché dentro Forza Italia verranno sciolte le riserve su Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia, ancora in vantaggio rispetto all'ex Csm Pierantonio Zanettin, con il ministro per le Riforme Elisabetta Casellati alla finestra.
Anche nel Pd la rosa non è senza spine. Il consigliere giuridico di Elly Schlein Andrea Pertici, nemico giurato dell'autonomia differenziata, è dato in risalita nonostante i bookmakers al Nazareno diano ancora per fatta la scelta più «istituzionale» di Massimo Luciani. Almeno fino a quando ieri Il Giornale non ha rivelato il peccatuccio di qualche anno fa, ovvero l'aver difeso le prerogative parlamentari di Umberto Bossi nel pronunciare la frase «col Tricolore mi pulisco il cu...» detta nel 1997 dal Senatùr durante una kermesse elettorale nel Comasco. Come legale di Montecitorio Luciani rappresentò invano davanti ad Annibale Marini le ragioni con cui il Parlamento aveva deciso di assoggettare il turpiloquio a semplice boutade politica, ma l'allora presidente non si fece incantare dalla generica «insindacabilità di gruppo» per il Carroccio che, secondo il costituzionalista che il Pd vuole mandare alla Consulta, si estendeva a tutti i leghisti e alle loro colorite espressioni ingiuriose pronunciate dentro e fuori l'Aula.
Bossi era stato condannato dal Tribunale di Como, sezione distaccata di Cantù, del reato previsto dall'articolo 292 del codice penale, la Camera aveva inutilmente impugnato la condanna pendente davanti alla Corte d'appello di Milano, seconda sezione penale, fino a quando Marini padre non sentenziò che il 21 giugno 2006 come «l'uso del turpiloquio» non faccia parte «del modo di esercizio delle funzioni parlamentari». Quella figuraccia è uno scheletro nell'armadio di Luciani che rischia di costargli lo scranno alla Consulta.
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