Il conto del lockdown: 4 mini-aziende su dieci a un passo dal crac

L'allarme della Cgia: tra le micro imprese 1,7 milioni sono vicine al fallimento

Il conto del lockdown: 4 mini-aziende su dieci a un passo dal crac

Uno scenario post bellico. Senza nemmeno la speranza di replicare un Dopoguerra effervescente come fu quello italiano degli anni Cinquanta e Sessanta. I dati sul Pil del secondo trimestre diffusi venerdì dall'Istat hanno certificato quanto l'Italia abbia perso nei mesi del lockdown e anche dopo. La tenuta dell'economia (e quella dei conti pubblici) è affidata alla speranza che il terzo trimestre, quindi luglio/settembre, segni un più 15%, obiettivo indicato esplicitamente dal ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri.

Sempre che il tessuto produttivo del Paese regga. Ieri gli artigiani della Cgia di Mestre hanno calcolato che quattro micro imprese su 10, «che in termini assoluti stimiamo in poco meno di 1,7 milioni di attività, rischiano la chiusura a causa della crisi economica provocata dall'emergenza sanitaria esplosa nei mesi scorsi». La Cgia ha spiegato di avere condotto un sondaggio su un campione rappresentativo di aziende italiane di diversa dimensione dal quale è emerso che le microaziende sono quelle che stanno attraversando le maggiori difficoltà.

«Ci riferiamo - esordisce il coordinatore dell'Ufficio studi, Paolo Zabeo - a quel ceto medio produttivo costituito da imprese dei servizi, negozianti, botteghe artigiane e partite Iva con meno di 10 addetti che dopo il lockdown non si sono più riprese e, ora, hanno manifestato l'intenzione di chiudere definitivamente la saracinesca». Si tratta di bar, ristoranti, attività ricettive, piccolo commercio, il comparto della cultura e dell'intrattenimento.

A rischio i piccoli produttori di mobili, del settore carta e stampa, il tessile, l'abbigliamento e le calzature. La crisi di questi mesi rischia di essere più profonda di una semplice mancanza di liquidità. «Una situazione ritenuta irreversibile che sta inducendo tanti piccoli imprenditori a gettare definitivamente la spugna».

La crisi da Covid si innesta in un ciclo poco favorevole per l'artigianato. La Cgia ricorda che tra il 2009 e il 2019 «lo stock complessivo delle aziende artigiane presenti in Italia è sceso di quasi 180mila unità. Circa il 60 per cento della contrazione ha riguardato attività legate al comparto casa: edili, lattonieri, posatori, dipintori, elettricisti, idraulici hanno vissuto anni difficili e molti sono stati costretti a cessare l'attività».

Altre attività si sono imposte, in particolare quelle «legate al mondo del design, del web, della comunicazione». Ma la crisi da lockdown e coronavirus rischia di colpire anche i settori emergenti. Male, quindi, le piccole e le micro imprese, e più in generale il manifatturiero e le esportazioni che sono i cardini della nostra economia.

Uno «scenario post bellico» per Giorgio Mulè, deputato di Forza Italia e portavoce dei gruppi azzurri di Camera e Senato.

«Il governo sta lasciando morire piccole imprese dei servizi, bar, ristoranti, botteghe artigiane e partite Iva con meno di dieci addetti che dopo il lockdown non si sono più riprese e, senza un intervento forte e immediato - contributi veri a fondo perduto e lunga proroga delle scadenze fiscali - rischiano di chiudere definitivamente», è la denuncia della presidente dei senatori di Forza

Italia, Anna Maria Bernini.

«Troveremo qualcosa nel decreto Agosto o queste realtà verranno lasciate agonizzare inducendo i piccoli imprenditori a gettare la spugna?» si chiede la deputata di Forza Italia, Daniela Ruffino.

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