Dalla Convenzione di Dublino al sistema di "redistribuzione". Anni di fallimenti, ora la svolta

Per decenni lasciati soli perché valeva solo l'idea dell'onere al Paese di primo approdo

Dalla Convenzione di Dublino al sistema di "redistribuzione". Anni di fallimenti, ora la svolta
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Da questione che riguarda solo l'Italia e i paesi di primo approdo a problema che colpisce tutte le nazioni europee e va risolto in ambito comunitario. Si può riassumere così l'evoluzione della questione migratoria con un'inversione a U nelle dichiarazioni e nelle politiche della Commissione europea. Sembrano passati decenni dal 2010, dal 2015 ma anche dal 2019 quando l'Italia veniva lasciata sola ad affrontare l'immigrazione irregolare liquidata come un problema di Lampedusa e dei paesi del Mediterraneo. Poi le conseguenze dell'accoglienza incontrollata sono arrivate anche nei paesi del nord Europa con l'aumento della criminalità, gli equilibri sociali stravolti, gli attentati terroristici e, quello che era solo un nostro problema, è diventato di tutta Europa. Così, anche grazie alla pressione delle opinioni pubbliche e ai risultati elettorali con la crescita dei partiti di destra, le politiche migratorie europee sono cambiate diventando man mano più stringenti fino ad arrivare al nuovo regolamento sui rimpatri Ue. Eppure, ripercorrendo gli atti e le dichiarazioni delle istituzioni di Bruxelles negli ultimi anni, sarebbe stato difficile anche solo immaginare un simile cambio di rotta.

Con la convenzione di Dublino, poi diventata Regolamento di Dublino entrato in vigore nel 2003 e aggiornato nel 2013, vale infatti il principio che il primo Stato membro in cui viene registrata la richiesta di asilo è responsabile del rifugiato. Si tratta di un regolamento immaginato alla fine degli anni Novanta in cui i numeri dei flussi migratori erano del tutto diversi da quelli attuali e che faceva ricadere sui paesi di primo approdo (tra cui l'Italia) tutti gli oneri dell'accoglienza.

Nonostante le crisi migratorie degli ultimi anni c'è voluto parecchio tempo prima che avvenisse un cambio di rotta, basti pensare che nel 2011, in piena emergenza sbarchi a causa della situazione in Libia, l'Ue negò all'Italia l'attivazione del meccanismo europeo di protezione temporanea per i rifugiati a causa del no di Francia, Spagna e Germania. Una scelta che portò l'allora Ministro dell'Interno Roberto Maroni a dichiarare: «L'Italia lasciata sola, che senso ha restare nella Ue?» L'anno successivo, nel 2012, la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo condannò l'Italia per i respingimenti verso la Libia imponendo un risarcimento di 15mila euro a 22 migranti.

Nel 2015, quando al governo c'era Matteo Renzi, durante un altro anno caldo per l'immigrazione, la Commissione Ue aprì una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per le mancanze nella registrazione dei migranti inviando una lettera di messa in mora, prima tappa del procedimento, ed esortandoci ad «attuare correttamente il regolamento Eurodac».

Cinque anni dopo, nel 2020, il presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen iniziò la conferenza stampa di presentazione del Patto migrazione e asilo con queste parole: «la migrazione è sempre stata una realtà per l'Europa e lo sarà sempre, nel corso dei secoli ha definito le nostre società, arricchito le nostre culture e plasmato molte delle nostre vite, e sarà sempre così».

Oggi la situazione è notevolmente cambiata e, non solo verrà introdotto un «ordine di rimpatrio europeo», ma la Commissione Ue ha dato ragione all'Italia su numerose questioni al punto che Giorgia Meloni, già lo scorso anno, intervenendo alla Camera in vista del Consiglio europeo, affermava:

«Sulla gestione del dossier migranti prima si parlava solo di redistribuzione', mentre ora il paradigma è cambiato ma è fondamentale che questo approccio sia consolidato e diventi strutturale». Un auspicio diventato realtà.

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