Se il «fronte comune» delle opposizioni di centrosinistra è un confuso campo di battaglia di tutti contro tutti, nel singolo Pd- dilaniato dalla guerriglia tra correnti - le cose vanno persino peggio.
In ballo ci sono gli incarichi interni (oggi pomeriggio si costituiscono i gruppi parlamentari e si eleggono i loro presidenti) e quelli istituzionali che spettano alle minoranze: vicepresidenti delle Camere, questori, presidenti di giunte e commissioni di garanzia, che verranno votati domani a scrutinio segreto. La più delicata delle quali è il Copasir, che esercita la vigilanza parlamentare sui servizi segreti e spetta di diritto all'opposizione: mancano ancora due mesi alla sua costituzione, ma già le tensioni internazionali si stanno ripercuotendo sul suo destino. Il candidato naturale alla presidenza è infatti Lorenzo Guerini, ministro uscente della Difesa che già ha guidato l'organismo a inizio della scorsa legislatura, sulla cui capacità e caratura anche internazionale ci sono pochi dubbi. E proprio per questo il capo di M5s Giuseppe Conte ha messo il veto sul suo nome: troppo «atlantico» e troppo anti-putiniano per i suoi gusti: «È il ministro che ha mandato agli ucraini le armi per difendersi», accusano i grillini, che come è noto non apprezzano la resistenza di Kyev contro l'invasore russo. Il problema è che nel Pd allo sbando cresce la tentazione di cedere al ricatto 5S, non tanto - o non solo, in molti casi - per strizzare l'occhio al finto «pacifismo» in salsa putinista della sinistra filo-grillina, quanto a fini interni. Più si penalizza la corrente gueriniana di Base riformista, infatti, più si liberano posti per le altre. «Con la scusa che Conte non vuole Guerini, stanno tentando di tagliarci fuori da tutto», denunciano dall'ala moderata del Pd.
A ieri sera, tutto era ancora in alto mare: l'ipotesi di Enrico Letta per tener buoni i capibastone - e mantenere il controllo di alcune postazioni, nonostante sia segretario uscente - è di congelare fino al congresso Pd (dal quale, dicono i maligni, spera di uscire come presidente del partito) le due capogruppo uscenti, Malpezzi e Serracchiani, che però non ci sta, perché preferirebbe la vicepresidenza della Camera che dura tutta la legislatura. Ma al posto di vice-Fontana ambisce anche Zingaretti, mentre il lettianissimo Marco Meloni potrebbe fare il vice-La Russa, la corrente di Orlando otterrebbe Andrea Martella come questore e quella di Dario Franceschini avrebbe la presidenza della Giunta elezioni del Senato. L'ipotesi Zan alla Camera, buttata in pista da Letta, è stata rapidamente archiviata dopo la rivolta interna.
Il congelamento delle capogruppo, in sostanza, serve ad evitare che oggi pomeriggio nei gruppi Pd si voti: «Andremmo in mille pezzi». Al posto di capogruppo infatti puntano anche Anna Ascani e Marianna Madia a Montecitorio e Valeria Valente e Donatella Rossomando al Senato: sarebbe il caos. Ma si rischia lo stesso di fare i conti senza l'oste: «Attenti - avvertiva ieri i distratti dem il radicale Riccardo Magi, esperto di procedure parlamentari - se non c'è un'intesa di ferro con M5s, i vostri candidati per gli uffici di presidenza salteranno».
Il sospetto è che «Conte, che sottobanco ha procurato diversi voti per La Russa, stia giocando in proprio con il centrodestra», per assicurarsi i suoi posti (Appendino e il futuro disoccupato Patuanelli sono i suoi candidati vice-presidenti), lasciando a dilaniarsi il Pd. Che non può certo contare sull'aiuto nell'urna del Terzo Polo: «Se Pd e 5S faranno un accordo per spartirsi i posti, non parteciperemo al voto», dice Calenda. E Renzi incalza: «Porremo la questione a Mattarella».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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