«Free Gaza from Hamas». Alla fine, l'unico davvero pro palestinesi era lui, quel ragazzo che a metà pomeriggio si è affacciato a una finestra di via Padova e ha tirato fuori il coraggio, e un piccolo cartello artigianale con una scritta a pennarello: «Gaza libera da Hamas».
I manifestanti che erano per strada, quelli che per questo lo hanno insultato in coro e minacciato, quelli erano anti-Israele, anti-Nato, anti-Occidente, anti-Meloni. E anti-polizia.
«Tout le monde destest la police». Tutti odiano la polizia, lo slogan più cantato ieri, arriva dalle rivolte delle banlieue francesi. E lo scontro con la polizia, cercato e voluto dagli autonomi, è arrivato intorno alle 17.30 quando la prima linea dei manifestanti, gridando «corteo! corteo!» ha iniziato a premere sul cordone attestato con tre camionette all'altezza con via Bambaia, cercando di sfondare. Tensione, lanci di bottiglie e qualche petardo. Un manifestante ferito e un agente che ha rimediato un trauma alla gamba. «Ce la faccio, rientro» ha detto ai colleghi, riprendendo il suo posto. E solo grazie alla gestione accorta e saggia dell'ordine pubblico, i problemi sono finiti lì, senza altre conseguenze.
Ufficialmente, a Milano, gli organizzatori della manifestazione annunciata nei giorni precedenti avevano accettato l'indicazione della questura e manifesteranno oggi. In pratica, però, giovani palestinesi, estrema sinistra e autonomi sono andati in piazza comunque, un migliaio, mettendo in scena un'altra puntata di una protesta che si ripete uguale a se stessa da mesi. Dal 9 ottobre scorso manifestano. Erano passati appena tre giorni dai massacri compiuti da Hamas e quel giorno si sono riuniti, giovani arabi e comunisti, inneggiando all'Intifada, esaltando la «resistenza palestinese» (cosa che ha fatto inorridire l'Anpi di Milano), giustificando i massacri o addirittura evocandoli come «una pagina gloriosa».
La novità di ieri, dopo una dozzina di cortei più o meno partecipati, è stata ovviamente la sovrapposizione con la Giornata della memoria, una «coincidenza» che le Comunità ebraiche hanno chiesto di evitare, almeno con un rinvio, per evitare l'insopportabile oltraggio di veder usata la Shoah contro Israele, che accolse i sopravvissuti ai lager, e oggi viene difeso da figli e nipoti di quei superstiti. E un oltraggio sarebbe stato vedere usare, quella Memoria, da chi urla: «Palestine will be free, from the river to the sea», uno slogan che evoca la distruzione dello Stato ebraico, che sta appunto fra il fiume e il mare. D'altra parte, i simboli delle sigle palestinesi impegnate in questa mobilitazione raffigurano l'agognato Stato arabo con confini che non prevedono l'esistenza di Israele. E ieri, a Roma, è stato portato anche un manichino di Netanyahu travestito da deportato. Eppure, i giovani palestinesi sono andati in piazza con un intento preciso: alimentare la strumentale narrazione secondo la quale sarebbe in corso una «seconda Shoah». E a riprova di questo, a Milano, sono state collocate le prime «pietre d'inciampo» dedicate ai palestinesi, mutuate da quelle pensate per le vittime dei campi di concentramento nazisti. Suona dunque come un doloroso paradosso, oggi, l'accusa rivolta contro Israele di essere uno Stato fascista o nazista. Doppiamente paradossale risulta poi se si pensa che il leader arabo Amin al-Husseini, Gran muftì di Gerusalemme, una delle più alte autorità dell'Islam sunnita, all'epoca cercò l'alleanza con Hitler condividendone i propositi genocidi.
In ogni caso, il tema Israele-palestinesi è comparso come il capitolo di una lotta che è globale, e va dalle proteste scolastiche a quelle sindacali, alla battaglia luddista dei «gretini». «All'imperialismo, non perdoniamo niente, occhio per occhio dente per dente» cantavano ieri.
Così, vecchi arnesi della militanza estremista distribuivano volantini vagheggianti una «repubblica araba socialista unita», e provavano a cimentarsi con slogan arabi, mentre i giovani arabi intonavano «Bella ciao». E alla fine, il ragazzo col cartello è sembrato l'unico lucido: i palestinesi devono essere sì liberati, prima di tutto dagli islamisti che vogliono la guerra perenne.(ha collaborato Francesco Curridori)
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