Così la giudice della sentenza preparava il blitz anti-governo

L'articolo incriminato della toga rossa Albano: già il giorno successivo al decreto spiegava come neutralizzarlo. I post sui social pro migranti

Così la giudice della sentenza preparava il blitz anti-governo
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«È impossibile riconoscere come Paesi sicuri gli Stati di provenienza delle persone trattenute». Questa la motivazione con la quale i magistrati del tribunale per i migranti di Roma hanno giustificato il diniego della convalida del trattenimento dei 12 migranti in Albania, obbligando il nostro Stato a riportarli su territorio italiano.

Se pubblicamente, con una nota stampa, i magistrati hanno liquidato così gli italiani, nei documenti ufficiali del provvedimento, di cui Il Giornale è in possesso, le cose sembrerebbero essere un po' diverse. Al centro della discussione c'è la lista dei Paesi sicuri stilata dall'Italia con un provvedimento ministeriale, di cui fanno parte Bangladesh ed Egitto, che sono proprio i territori di provenienza dei migranti in questione.

«Trattandosi di normativa secondaria il giudice ha sempre il dovere di verificare se il Paese inserito nell'elenco risponda ai criteri stabiliti dalle norme primarie», aggiungono i magistrati tra parentesi.

Una precisazione che sembrerebbe calpestare le leggi italiane in nome della pura interpretazione.

Un passaggio, infatti, che non è stato pubblicato ma che apre ai dubbi sullo strapotere della magistratura. Andando indietro nel tempo si scopre però che i togati rossi, in particolare la presidente di Magistratura Democratica Silvia Albano, proprio lei che è tenuta a decidere sui migranti in Albania, aveva già «avvertito» i compagni e colleghi su come poter intervenire sul protocollo. Ma non solo: nelle ultime ore circolano in rete alcuni post su Facebook della Albano in favore dei migranti.

Ma andiamo con ordine: «Così com'è il protocollo firmato tra Italia e Albania mi pare difficile possa essere attuato. Occorre una legge di ratifica da parte del Parlamento», dichiarava la Albano a Repubblica nel novembre 2023. Ed infatti la ratifica del Governo c'è stata poco dopo, per poi arrivare al 7 maggio scorso quando viene firmato il decreto ministeriale con la lista dei Paesi sicuri, quelli per cui non è possibile richiedere in alcun modo protezione internazionale né in Italia, né in Albania.

Ma il giorno successivo, l'8 maggio 2024, con un tempismo perfetto che sembrerebbe avere il sapore di un boicottaggio a tutti gli effetti, è sempre il giudice Albano che scrive un articolo, anzi un vademecum, sul sito di Magistratura Democratica, con i punti fondamentali a cui fare riferimento per annientare il protocollo.

«Le conseguenze per i richiedenti asilo provenienti da un Paese incluso nella lista dei Paesi di origine sicura sono molto rilevanti in relazione alla possibilità di effettivamente far valere il proprio diritto di asilo», si legge. E ancora: «I giudici dovranno, quindi, verificare se il Paese designato come sicuro con decreto ministeriale, possa essere effettivamente considerato tale in base a quanto stabilito dalla legge». Una premonizione che, ad oggi, sembra proprio una linea ad hoc già preparata e pronta all'uso.

E il tribunale di Roma, con la Albano, ha applicato per filo e per segno i consigli dell'Albano leader di Md. Con un escamotage: una sentenza della Corte Europea del 4 ottobre 2024 che trattava il caso di un migrante in Repubblica Ceca.

In realtà questa sentenza altro non dice che i giudici in merito ai Paesi sicuri hanno «l'obbligo di effettuare una valutazione che tenga conto, eventualmente, di nuovi elementi emersi dopo l'adozione della decisione oggetto del ricorso».

Cosa significa, in pratica? Che il giudice dovrebbe fare un'approfondita analisi sul Paese di provenienza e documentare gli eventuali nuovi elementi di pericolosità estrema per la persona.

É stato fatto ciò per i dodici migranti in questione? In caso affermativo, che vengano spiegate le nuove situazioni di Bangladesh ed Egitto che in 48 ore hanno sconvolto Paesi sino a questo momento ritenuti sicuri dalla legge italiana.

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