Falce e carrello, il libro che ha reso celebre Bernardo Caprotti, è nato la sera del 7 febbraio 2006. A Porta a porta parlava Romano Prodi: due mesi dopo avrebbe vinto le elezioni. D'improvviso il prevosto di Bologna si lamentò che in Italia la grande distribuzione fosse in mano ai francesi. Vespa gli chiese che cosa potesse fare il governo per evitare che espatriassero anche Coop ed Esselunga. Prodi rispose: «Le può mettere assieme. Dobbiamo fare passi legittimi in questa direzione».
Caprotti fece un salto sulla poltrona. Da decenni le coop monopolizzavano i supermercati nelle regioni rosse. Esselunga non era riuscita ad aprire in Liguria, contava sulle dita di una mano i negozi in Emilia Romagna e Veneto, lottava in Toscana, e il futuro capo del governo annunciava la fusione in diretta Rai nel pieno di una campagna tambureggiante orchestrata dalle coop per inglobare Esselunga. Presidente di Legacoop era Giuliano Poletti, attuale ministro del lavoro.
Il fondatore tolse dagli archivi i faldoni dei supermercati mai aperti. Delibere comunali, mappe del catasto, scambi di lettere, copie di atti notarili, ritagli di giornali, fotografie; tutto protocollato e custodito a futura memoria. Modena, Bologna, Firenze, Genova erano tappe di un disegno: indebolire il concorrente per farlo sparire. O ridimensionarlo per ingoiarlo. Il Dottore voleva smascherare il sistema che in mezza Italia paralizzava un imprenditore soltanto perché non votava falce e martello.
Era combattuto, Caprotti. Passò la primavera a visitare i negozi della concorrenza e ne uscì «vaccinato». Chiese molti consigli; coinvolse oltre 220 tra dirigenti e quadri aziendali a cominciare dall'amministratore delegato Carlo Salza. Tra gli altri si rivolse anche a Carlo Rossella. L'allora direttore del Tg5 scosse la testa e consigliò a Caprotti di rivolgersi a Stefano Lorenzetto, principe degli intervistatori. Il quale invece comprese la potenza esplosiva di quelle carte: convinse il mago di Esselunga a scrivere il libro, gli trovò l'editore (Marsilio) e gli suggerì il titolo Falce e carrello. Quando lo sentì, Caprotti ebbe quasi un orgasmo.
Lorenzetto, che accompagnò l'avventura passo dopo passo, coinvolse il sottoscritto: per il Giornale avevo scritto varie inchieste sui guasti del sistema cooperativo. Il Dottore mi riempì l'auto di fotocopie e per qualche mese mi ricevette periodicamente. Dovevo aiutarlo a svelare le trame delle coop, ma innanzitutto a raccontare se stesso. L'imprenditore di genio che aveva importato dagli Usa i supermercati, l'uomo che aveva rivoluzionato la spesa degli italiani era ancora sconosciuto. Rare interviste, poche fotografie, mai una chiacchiera. Alle notizie su Esselunga, Caprotti rispondeva a modo suo. Scriveva a direttori e giornalisti scorticandoli oppure comprava pagine di giornale per rivolgersi direttamente ai consumatori, e quando s'inferociva faceva togliere la pubblicità dei 3x2 o di John Lemon.
In quelle mattine dell'autunno 2006, Caprotti - il badge biancorosso appollaiato sul taschino della giacca scura - aprì l'album dei ricordi nella «Sala della notifica» all'ultimo piano del palazzo Esselunga a Pioltello, sotto alcune vedute veneziane dipinte dal Bellotto e dal Marieschi, davanti a due registratori e affiancato dall'inseparabile segretaria Germana Chiodi, paziente e devota. Si pranzava in mensa con i dipendenti. Il Dottore era torrenziale, ricostruiva i fatti con passione e lucidità. Infilava ogni due per tre una parola d'inglese, diceva «ebbimo» anziché «avemmo», si definiva un «droghiere» e si divertiva a rievocare la cacciata dei top manager: li convocò in ufficio, mise loro in mano la lettera di licenziamento, li caricò su Mercedes con autista e li rispedì a casa. Teneva sempre sul tavolo, per regalarle, alcune copie del libro di Victor Zaslavsky sul massacro di Katyn, la più grande opera di disinformazione ordita dai sovietici. Caprotti non tollerava il falso.
«Falce e carrello» fu un parto sofferto. Fino all'ultimo in Mr Esselunga si alternarono dubbi e certezze. Un bel giorno si fece consegnare registrazioni e brogliacci e decise di riscrivere tutto, tappandosi per parecchi fine settimana in una sorta di clausura con la segretaria alla quale dettava. Così riversò nel best-seller tutta la sua personalità, la determinazione, la capacità di cogliere il bersaglio, l'espressione impeccabile, l'ironia tagliente, il coraggio di non nascondere nulla, il gusto del bello, la cura maniacale del particolare.
La correzione delle bozze fu un'altra impresa. Caprotti ordinò ai collaboratori di verificare nuovamente ogni parola. Recapitò il manoscritto ai legali per essere tranquillizzato. Le denunce delle coop piovvero ugualmente, ma nessuno poté accusarlo di diffamazione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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