Così Renzi ha rottamato il Pd: "La sinistra chic perde sempre"

Il premier, contestato con lanci di uova, ironizza sul crollo dei tesserati: "Meglio tanti iscritti e pochi voti?"

Così Renzi ha rottamato il Pd: "La sinistra chic perde sempre"

Roma - Quando si dice la coincidenza degli interessi. Se per uno il partito degli iscritti è costosa zavorra, inutile impedimento, noioso orpello, per tanti altri è proprio questo il sintomo della crisi finale, il segno di una sfida e di un'opportunità da cogliere. L'Uno è il solito «solo al comando», Matteo Renzi. Il problema è che «Solo» è sempre più solo, il gruppone che tira alle spalle non c'è più. Sparito, dissolto, rottamato, direbbe gioiosamente lui, forse pensando al «partito della Nazione», forse per quel «comitato elettorale» che sospetta Stefano Fassina. «A qualcuno piace il Pd che ha 400mila iscritti ma prende il 25 per cento e perde le elezioni», controaccusa il leader-premier.

La verità è però sotto gli occhi, al di là della banale querelle sui numeri che s'accende tra i cultori di largo del Nazareno: dopo aver già cambiato sostanza, ora il Pd cambia forma e pelle. La gente non ci crede più, vota Renzi per sfinimento e mancanza di alternativa, ma iscriversi che-dio-ce-ne-scampi. Voci allarmistiche abilmente guidate parlano di meno di 100mila iscritti, ovvero 400mila persi nell'anno zero del Renzismo («abbiamo cominciato solo ad aprile», pietiscono i Capi). Insorgono i segretari locali punti sul vivo e promettono di impegnarsi di più. Renzi ne approfitta per colpire la precendente gestione: «Ci siamo trovati un po' di problemini nel bilancio di partito... Ma abbiamo lavato i panni sporchi in casa, e rimesso a posto il bilancio, senza licenziare». L'operazione serve così a batter cassa e rilanciare una campagna di adesioni e fundraising che va al rilento, un'onda stanca e rituale che stenterà comunque ad arrivare al traguardo dei 300mila iscritti entro fine anno promessi dal vice reggente, Lorenzo Guerini e a rimettere davvero a posto i conti del Pd (mancano un bel po' di finanziamenti pubblici).

L'ovvio dei popoli lo fornisce Bersani: «Se diventasse solo un partito di elettori diventerebbe un'altra cosa, uno spazio politico e non un soggetto politico». Ma Bersani è amante incondizionato della Ditta, si sa l'amore è cieco, e dunque conclude con l'ipocrita marchio di fabbrica: «Non siamo a questo, non finiremo lì». Il guaio è che forse altri, «quelli che le cose le sanno», hanno maturato sentimenti assai meno bonari. Nei circoli romani l'attesa che D'Alema si scuota dallo splendido isolamento è tam-tam che circola da mesi. Forse per la speranza di cariche europee, forse per giocarsi una carta mai imbroccata (il Quirinale) l'ex leader ha tollerato e vezzeggiato con qualche ironia l'attivismo fiorentino. Ma l'altro giorno in Direzione era un altro D'Alema, che ha parlato - per la prima volta della vita - una lingua diversa. Non della maggioranza, ma dell'opposizione. Cerchie confidenziali raccontano di un «Max» battagliero e irato, sicuro che la bolla di Renzi scoppierà miseramente, e persino preoccupato.

L'impossibilità di una dialettica interna, i modi spicci e irriguardosi con i quali vengono liquidate le voci interne, lo hanno convinto a guardare fuori dalla finestra. Al magma che auspica la rinascita di una forza di sinistra laburista. Ieri D'Alema era atteso nella suggestiva cornice della Fondazione Nenni, dove un cenacolo quasi carbonaro (arrivato però a poco meno di cinquanta intellettuali) ha dato vita a un attualissimo ricordo di Riccardo Lombardi, nel trentennale della scomparsa. Il nome del partigiano azionista e socialista, papà delle «riforme di struttura» vere e non annunciate dirà poco a Renzi e compagni. Eppure attorno al padrone di casa, lo storico Tamburrano, si sono alternati politici, storici, economisti (da Elio Veltri a Nicola Salvi, da Nicola Tranfaglia ad Alessandro Roncaglia, da Stefano Sylos Labini a Mario Almerighi, ad Antonio Caputo). «La fuga dal Pd conferma che lo spazio c'è, che la sinistra può rinascere», ha detto Veltri, animatore di una Costituente socialista . Il capogruppo vendoliano alla Camera, Arturo Scotto, ha assicurato che Sel «è pronta a sciogliersi in un soggetto più grande». Della partita sono Moni Ovadia e l'eurodeputato Curzio Maltese, della (fu) lista Tsipras. Oggi a Roma una manifestazione con Vendola, Pippo Civati e Maurizio Landini, riunirà i fedelissimi dell'articolo 18.

«Quando la sinistra fa il Pd vince con il 40 per cento, quando insegue i fantasmi, come certa sinistra radical chic è condannata a perdere le elezioni», dice Renzi. Ma la sfida è solo agli inizi, e il lancio di uova subito dal premier a Ferrara confermano che non son tempi da pranzi di gala. Altro che salotti.

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