Non perde tempo, Elly Schlein. Apre lo scontro frontale (sia pur senza strilli eccessivi) con il governo sulla questione migranti, chiede le dimissioni del ministro Piantedosi, annuncia che sarà in piazza sabato alla manifestazione anti-fascista, convocata dai sindacati. Non solo: il neo leader dem andrà oggi a Crotone in passerella.
Il suo obiettivo di medio termine è chiaro: di qui alle elezioni europee, contando sull'effetto-novità della sua vittoria interna e sulla dolcissima luna di miele col sistema mediatico, la neo-segretaria Pd non lascerà nessun fronte non presidiato a sinistra, non trascurerà nessun appuntamento e nessuna occasione politica utile per imporsi come front-woman dell'opposizione, togliendo ossigeno e parole d'ordine non solo ai partitucoli della gauche extra-Pd, ma soprattutto ai Cinque Stelle, che già iniziano ad annaspare. L'annuncio sul tamburo della sua presenza in piazza sabato a Firenze, ad esempio, non serve solo ad oscurare Giuseppe Conte, che contava di esserne protagonista, ma soprattutto a ripristinare una «cinghia di trasmissione» interrotta da tempo, quella con la Cgil. Il Pd di Schlein vuol tornare ad essere l'interlocutore diretto e privilegiato (possibilmente unico) del sindacato di Landini, che negli ultimi anni aveva sbandato vistosamente verso il populismo pentastellato: non a caso tutta la campagna di Elly è stata incentrata sulla promessa di cancellare le ultime tracce del renzismo e delle sue riforme «neo-liberiste», a cominciare dal Jobs Act. Una chiara captatio benevolentiae verso il massimalismo Cgil, del resto ricambiata - sottotraccia - dal sindacato di Corso Italia, che ha mandato molti dei suoi ai seggi delle primarie.
Tutto ciò entusiasma la vecchia «Ditta» e i giovani neo-corbynisti del Pd (Corbyn, nel frattempo, è stato tumulato dal Labour britannico, ma fa niente), ma crea inevitabilmente anche disagio negli esponenti riformisti. Una vistosa spia di questo malessere si è accesa ieri, dopo un tweet - tra il serio e il faceto - di Carlo Cottarelli, l'economista liberal che è stato «la nostra punta di diamante» (Enrico Letta dixit) nelle liste Pd alle politiche di settembre. «E ora che faccio? Non capisco ma mi adeguo? CottarElly???». La battuta agrodolce esplode sui social, con centinaia di like e di risposte: molti militanti Pd che lo invitano a non andarsene e «rimanere nel partito», altri gli indicano la porta, simpatizzanti di Terzo polo o +Europa (fu il partito di Emma Bonino a portarlo «in dote» al Pd) lo invocano: «Vieni con noi». Lui «tituba», dice chi ci ha parlato: «Vuole capire bene che tipo di linea imprimerà Schlein». «E che linea vuoi che imprima?», dice Beppe Fioroni, che il suo addio lo ha già annunciato. «Sarà un Pd di sinistra-sinistra massimalista».
Intanto area Schlein e minoranza (del 47%) trattano in vista dell'Assemblea nazionale del 12 marzo. L'idea è di lasciare allo sconfitto Stefano Bonaccini la scelta tra presidenza del partito (per sé) o di un gruppo parlamentare (si parla di Simona Bonafè alla Camera, ma anche Debora Serracchiani vuole rimanere). Schlein vuol recuperare i tanti amministratori locali schierati con Bonaccini: a molti di loro sarà offerta la candidatura alle Europee, a cominciare dal sindaco di Firenze Dario Nardella.
E dai presidenti di regione cui si vuol interdire la
ricandidatura: Emiliano in Puglia, Giani in Toscana, De Luca in Campania. Dove M5s prova a lanciare come candidato alternativo Roberto Fico: «Così regaliamo la regione, infiocchettata, al centrodestra», notano dal Pd campano.
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