"Così Tarzan ispirò il mio primo negozio"

Chiara Boni racconta il suo esordio nella moda: "Quando Veruschka si presentò da me..."

"Così Tarzan ispirò il mio primo negozio"

Nel 1971, poco prima di rimanere incinta di Giacomo, decido di aprire la famosa boutique che ho in testa da quando, due anni prima, sono rientrata in Italia da Londra. Coinvolgo due amiche. Una è Elisabetta Ballerini, un amore di ragazza bionda e con gli occhi verdi. L'altra è Cristiana Bargagli, la sorella più piccola della mia amica Letizia, una persona positiva e piena di energia che poi sposerà uno dei marchesi Frescobaldi.

Troviamo posto in via Del Parione dove adesso c'è il Bisonte. In pratica siamo a Palazzo Corsini e ogni tanto si ferma davanti alle nostre vetrine il principe Tommaso Corsini, padre di Filippo e suocero della mitica Giorgiana. Era sempre vestito in tweed con i pantaloni knickerbocker e la giacca da caccia, e dei meravigliosi baffi bianchi. Dava un'occhiata, si girava verso di noi, lanciava uno sbuffo di fumo dalla pipa e andava via.

Era un uomo molto chic. Io lo conoscevo già perché con Titti avevamo un allevamento di setter irlandesi per fare le gare di caccia. Titti era fissato con queste cose. Nelle gare i cani da caccia devono percorrere il territorio seguendo il vento. Poi, quando trovano la preda, che in genere è un pennuto ma può esserci anche una lepre, si devono fermare e aspettare il cacciatore. Quando arriva, i cani devono ignorare la lepre e far volare l'uccello in modo che il cacciatore gli possa sparare.

Naturalmente spesso e volentieri succedeva il contrario: le lepri scappavano, i cani le inseguivano e i cacciatori non potevano sparare. Una volta andiamo a una gara di caccia con un amico ebreo molto simpatico che aveva un negozio di tappeti. Lui si accende uno spinello e mentre sta fumando beatamente arriva il principe Corsini che gli intima: «Lei, faccia subito uno sbuffo di fumo». Per un attimo resta lì esterrefatto, poi non sapendo cosa fare fa lo sbuffo richiesto. Il principe soddisfatto dice: «Molto bene, volevo vedere da che parte andava il vento». Nel nostro giro sapevamo tutti questa storia, per cui quando il principe faceva lo sbuffo di fumo davanti alle nostre vetrine ci scappava da ridere, anche se non avevamo letteralmente il tempo di respirare.

In pratica abbiamo messo in piedi il negozio da sole, stendendo la moquette verde che sembrava un prato con un camminamento fatto da pezzi di moquette grigia che rappresentavano dei sassi e piantando in giro degli alberelli intagliati nel legno e poi dipinti con quattro zampe al posto delle radici. Non c'erano camerini singoli, ma solo un unico, grande tendone da circo bianco e rosso che avevamo cucito noi. Le clienti provavano gli abiti e si cambiavano lì dentro tutte insieme, mentre fuori, sulle pareti del negozio, avevamo fissato dei tubi cui appendevamo i vestiti da vendere. Poi c'erano delle strisciate al neon di tutti i colori, genere Dan Flavin. In alto, verso il soffitto, avevamo messo dei moduli fatti dai carristi del Carnevale di Viareggio. Il tema era Tarzan, in tutte le versioni. C'era quello in notturna, in diurna, da solo, con la scimmia, pronto a raggiungere Jane oppure trasformato in Lothar, in Mandrake, negli altri personaggi dei fumetti dell'epoca. Avevamo una decina di queste meravigliose figure in cartapesta. Ne ho salvate e restaurate due che adesso ha mio figlio a casa sua. Erano il nostro simbolo, anche perché ho scelto come marchio il titolo di uno spettacolo femminista che avevo visto a Londra: You Tarzan Me Jane. Lo trovo perfetto, una garbata affermazione dell'identità femminile perché nei film con Johnny Weissmuller lui dice l'esatto contrario: «Me Tarzan, You Jane», come se una donna per essere riconosciuta avesse bisogno di un uomo che la identifica. Cominciano ad arrivare clienti di tutti i generi, ovviamente ragazze stravaganti, fiorentine e non. Un giorno entra una donna bellissima e altissima che indossa una pelle di leopardo al posto del cappotto. È al braccio di un uomo molto più basso con una bella faccia illuminata dagli occhi vivacissimi.

Lei è Vera Anna Gottliebe Gräfin von Lehndorff, in arte Veruschka, la modella più alta e più carismatica del mondo, mentre lui è Daniel Cohn-Bendit, detto «Dany il Rosso», uno dei protagonisti del Maggio francese. Me li ha mandati Anna Maria Papi, nelle cui case a Firenze come al Forte si tengono dei veri e propri simposi politici e culturali. Ci si incontra Carla Fracci con il marito Beppe Menegatti, ma anche i protagonisti del fatidico Sessantotto, gli attori e gli scrittori più significativi del momento, insieme ai giovani leoni che sognano di cambiare il mondo e per certi versi ci riescono pure. Veruschka compra un paio di pantaloni che ovviamente le stanno da Dio. Non c'è neppure bisogno di farle l'orlo tanto è alta. Più tardi, a casa di Anna Maria, mi racconterà la sua storia straordinaria. Era figlia del barone prussiano Heinrich Ahasverus Graf von Lehndorff Steinort, ufficiale della Wehrmacht che aveva combattuto in Russia. Insieme con altri altissimi papaveri dell'esercito nazista il barone aveva organizzato la cosiddetta Operazione Valchiria, ovvero l'attentato che il 20 luglio 1944 avrebbe dovuto uccidere Hitler a Rüsselsheim, nell'alta Prussia. La bomba esplose purtroppo inutilmente e la vendetta del Fuhrer fu terribile: vennero giustiziate cinquemila persone, tra cui il generale Rommel costretto a inghiottire una pastiglia di cianuro. Il padre di Veruschka fu impiccato, e lei con le quattro sorelle fu internata nel lager di Bad Sachsa dove i nazisti attuavano il cosiddetto Progetto Lebensborn. Si trattava di una mostruosa sperimentazione legata al mito della razza ariana: creare dei super bambini biondi e con gli occhi azzurri che avrebbero avuto a loro volta dei figli puri e perfetti. Veruschka era convinta di dovere la sua notevolissima altezza a qualche misterioso esperimento genetico compiuto su di lei, ma questa mi sembra una cosa scientificamente impossibile. In compenso, per sopravvivere alla prigionia, con le sorelline aveva inventato il gioco dell'invisibilità.

Me l'ha mostrato dal vivo, e funzionava: se decideva di non farsi notare, s'imponeva uno sguardo fisso e vacuo che cancellava ogni espressione dal viso, tanto che, alta e bella com'era, riusciva a passare senza che nessuno si girasse. Le bastava essere quella che era per attirare l'attenzione di tutti.

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