Un pass avanti. Dal 26 aprile la nostra libertà potrà dipendere dalla facoltà di dimostrare la nostra innocuità epidemiologica. Potremo viaggiare, cambiare regione, andare allo stadio o a un concerto soltanto se potremo garantire di non essere pericolosi per noi stessi e per gli altri. Facile a dirsi.
Già, facile a dirsi. Perché questo pass - una sorta di anticipazione del passaporto vaccinale europeo che dovrebbe essere varato tra giugno e luglio dopo mesi di esitazioni da parte dell'Ue a causa di sospetti di discriminazioni - non si sa ancora bene come potrebbe funzionare e da chi potrebbe essere rilasciato. Insomma, al momento un passaporto verso l'ignoto.
L'idea è quello che il pass sia un documento digitale (se ne sta occupando Poste) con un QR code che possa essere facilmente letto da chi di dovere, rilasciato dalla Asl di competenza o dalla regione secondo modalità che devono ancora essere chiarite da un decreto del governo. Ma probabilmente all'inizio si tratterà di un documento cartaceo. Anzi, di vari tipi di documenti cartacei a seconda delle differenti situazioni. La posta in gioco è la partecipazione a determinati eventi ma soprattutto la circolazione tra regioni almeno una delle quali non sia in giallo, ciò che dovrebbe servire a salvare l'estate nelle località turistiche in cui la curva dei contagi non sia scesa a sufficienza.
Questi «privilegi» saranno garantiti soltanto alle persone che si trovino in una di queste tre condizioni: sia già stato vaccinato con entrambi le dosi (e qui fa fede il certificato rilasciato dall'ente che ha somministrato il vaccino); sia stato contagiato dal Covid negli ultimi se mesi e non sia più positivo (qui serve un test sierologico con tampone successivo); abbia effettuato un tampone che sia risultato negativo nelle ultime quarantotto ore. E se i primi due requisiti sono facilmente dimostrabili e dovrebbero garantire la presenza di anticorpi del soggetto (anche se poi si sa che sia nei vaccinati sia nei guariti da Covid-19 l'immunizzazione è presunta e non assicurata al cento per cento), l'utilizzo del tampone come lasciapassare presenta non poche criticità: che tipo di tampone sarà richiesto? Un «rapido» che offre il vantaggio del responso immediato ma che non sempre è veritiero? Oppure un molecolare che offre maggiori garanzie di affidabilità ma richiede di solito un paio di giorni per il responso? E in questo caso, per le quarantotto ore richieste, conta il momento del test o quello del responso? Perché in questo ultimo caso si rischierebbe di avere il via libera alla partecipazione a un evento con un tampone fatto fino a 96 ore prima, e quindi ci sarebbe una finestra di quattro giorni successivi scoperta.
C'è poi anche un aspetto economico. I tamponi «rapidi» hanno un prezzo molto variabile: costano una ventina di euro se fatti dal medico della Asl, una trentina di euro se fatti in farmacia (e non tutte lo eseguono), fino a 65 se eseguiti a domicilio dai tecnici di un laboratorio privato. I tamponi molecolari costano molto di più e le tariffe possono superare anche i 100 euro. Se qualcuno non ancora vaccinato e non immunizzato dovesse aver bisogno di fare molti viaggi per l'Italia per lavoro, dovrebbe fare tamponi a ripetizione sottoponendosi a un salasso non indifferente e dovrebbe calcolare bene se il gioco valga la candela.
C'è poi anche una perplessità di tipo ideologico, o forse meglio etico.
Quando davvero ci sarà un'Italia dei salvati e un'Italia dei sommersi, quando saremo marchiati a fuoco da circostanze che non dipendono da noi (l'età, l'appartenere a una categoria professionale, l'avere avuto la «fortuna» di ammalarsi di Covid) la corsa ad avere un vaccino a qualunque costo potrebbe essere ancor più di ora senza esclusione di colpi. E gli italiani spesso in questi casi danno il peggio di sé. Ma speriamo di sbagliarci.
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