Dalla Svizzera ci si prodiga a garantire sulla solidità del Credit Suisse, in Europa e Stati Uniti si mette la mano sul fuoco sulla sicurezza del sistema bancario. Anche se poi, a ben vedere, i messaggi che arrivano sono un bel po' contraddittori. Partendo dal colosso elvetico, ieri il maggiore azionista, la Saudi National Bank, attraverso il suo presidente Ammar Al Khudairy ha detto che il Credit Suisse non cercherà altro capitale perchè «è solida» e quindi il panico sui mercati «è ingiustificato». Un terrore peraltro scatenato dagli stessi sauditi, che hanno stoppato la ricapitalizzazione. Il Credit Suisse è poi corso ai ripari prendendo in prestito 50 miliardi di franchi (50,6 miliardi di euro) dalla banca centrale svizzera. E riacquistando 3 miliardi dei propri bond per ridurre la spesa per interessi. Ieri, tra l'altro, si è riunito di urgenza il Consiglio federale svizzero per parlare proprio della seconda banca del Paese. Secondo quanto riporta Bloomberg, i vertici di Credit Suisse e i rappresentanti del governo hanno già parlato di una serie di opzioni, da una dichiarazione pubblica di sostegno a una misura di aiuto alla liquidità, fino alla possibile separazione delle attività svizzere per aggregarle a quelle dell'altro gruppo bancario svizzero Ubs. Per gli analisti di Jp Morgan, nel futuro dell'istituto (+19,1% ieri in Borsa a Zurigo) l'ipotesi più probabile sarebbe l'aggregazione con i rivali. Anche se Ubs quanto il Credit Suisse si opporrebbero a una fusione spinta dalle autorità e dal governo elvetico. Ubs, infatti, sarebbe riluttante a farsi carico dei rischi correlati al Credit Suisse. La quale, a sua volta, vorrebbe proseguire da sola nel suo piano di ristrutturazione. Le alternative sarebbero un intervento della banca centrale svizzera per garantire i depositi e iniettare capitale, oppure una gestione autonoma della crisi da parte del Credit Suisse, magari attraverso la cessione di attività a partire dall'investment bank.
Intanto, la Banca centrale europea, preoccupata di un possibile contagio, si è subito mossa per quantificare l'esposizione delle banche continentali al Credit Suisse. Ieri, il vicepresidente della Bce Luis De Guindos ha assicurato che l'esposizione è «limitata e non c'è concentrazione». In ogni caso, ha spiegato, «abbiamo gli strumenti per fornire liquidità nel caso servissero». L'istituto guidato da Christine Lagarde ha poi varato un altro rialzo dei tassi da mezzo punto, spiegando nel suo comunicato che «il settore bancario dell'area dell'euro è dotato di buona capacità di tenuta, con solide posizioni di capitale e liquidità». La Borsa si è lasciata tranquillizzare, con Piazza Affari a chiudere a +1,38 per cento. Questo nonostante il vicepresidente della Bce abbia detto all'Ecofin di martedì che alcune banche dell'Eurozona potrebbero essere vulnerabili al rialzo dei tassi di interesse. Perchè, allora, non alzare il piede dall'acceleratore sui tassi? Una possibile risposta arriva dall'altra parte dell'Oceano da parte della segretaria del Tesoro Usa, Janet Yellen, la quale ha detto che «l'alta inflazione è il problema economico numero uno, è la più alta priorità dell'amministrazione Biden». Anche la Fed americana, infatti, spinge sui tassi per domare i prezzi, politica che ha spinto nel baratro Silicon Valley Bank e Signature Bank.
Anche in questo caso, però, non è un bel segnale se Jp Morgan, Morgan Stanley e diverse altre grandi banche statunitensi pensano di salvare First Republic Bank, terzo istituto in crisi, con un'iniezione di 30 miliardi di dollari. La speranza è che un domani non si debba fare lo stesso anche in Europa.
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