Tutte le bacchettate di Crisanti a Speranza: prima nemici ora "compagni" nel Pd

Dall’uso delle mascherine al lockdown, ai test rapidi, al green pass. Quando Crisanti non perdeva l’occasione di contraddire il ministro Speranza

Tutte le bacchettate di Crisanti a Speranza: prima nemici ora "compagni" nel Pd

Ventiquattro ore dopo non si placa la polemica sulla candidatura di Andrea Crisanti tra le fila del Pd. Nel mirino di delusi e sorpresi, più che la dubbia strategia di Enrico Letta di affidarsi al "tele-virologo" più divisivo d’Italia per racimolare voti, è la scelta del professore.

Fa sorridere che sia sceso in campo con lo stesso partito, il Pd, a cui appartiene ministro della Salute Roberto Speranza (è di Leu ma candidato nella lista del Pd a Napoli), tanto criticato durante il periodo pandemico. Approfittando dell’esposizione mediatica, “sofferta” ma cavalcata, il microbiologo dell'Università di Padova ha collezionato prese di distanza, affondi e critiche feroci al neo compagno di partito, non perdendo l’occasione di sconfessarne le politiche per assenza di fondamento scientifico. Ripercorrendo le ennemila dichiarazioni rilasciate da Crisanti negli ultimi due anni, si ricava una carrellata impietosa in merito alle decisioni prese dal ministro. Quasi tutte cassate. Dall’uso delle mascherine al lockdown, ai test rapidi, al green pass, il professore non ne salva una.

Era l’ottobre 2020 quando Crisanti in un'intervista a Il Messaggero bocciava la scelta del commissario per l'emergenza coronavirus, Domenico Arcuri, ma avallata dal ministero della Salute, di affiancare all’uso dei tamponi molecolari, anche 100mila rapidi antigenici, giudicati poco attendibili dal microbiologo padovano. "Ci dicono: il test rapido ha una corrispondenza con il molecolare vicina al 100 per cento. Certo, perché fanno la verifica solo sui positivi. I guai vengono da coloro che risultano negativi al test rapido ma che in realtà sono positivi, sono attorno al 30 per cento".

Passa qualche mese. Nel febbraio 2021 la campagna vaccinale stenta e decollare e i nuovi sieri arrivano con il contagocce. Crisanti sbotta ospite di Agorà, su Rai3, definendo Speranza “esitante”: “È il momento di accettare la realtà: la campagna di vaccinazione sarà completata in non meno di 7/8 mesi e dobbiamo probabilmente fare un lockdown per ridurre la possibilità che la variante inglese porti al collasso il sistema sanitario. Il ministro Speranza ha esitato di fronte a spinte di parte: se a maggio avessimo prolungato il lockdown per altri 15-20 giorni, avremmo azzerato i contagi e avremmo potuto blindare l’Italia e probabilmente oggi staremmo in una situazione vicina a quella della Corea del Sud o della Nuova Zelanda. Ma c’era chi doveva aprire le spiagge e le discoteche. L’agenda, ribadisco, la detta il virus, non il politico o il commerciante“. Sotto accusa la decisione del maggio 2020 di allentare le restrizioni.

Fluttuante, invece, il giudizio sull’utilità delle mascherine, su cui però non perde occasione di dissentire con il ministro di Leu. Prima si lamenta sui ritardi nel riconoscerne l’importanza, poi, dopo due mesi, quando finalmente il ministero pare averlo ascoltato, le liquida come inutili.

Ormai noto poi il report di Crisanti, nella sua veste di perito della procura di Bergamo, dove ha messo in fila gli errori e le conseguenze della mancata istituzione della zona rossa, nei giorni precedenti il lockdown per Codogno, che sarebbe costata almeno 2mila vittime. Una vera e propria analisi-macigno sulla discutibile gestione del governo Conte.

Ma caduto il fu "avvocato del popolo", nemmeno l’autorevolezza di Super Mario frena le condanne senza appello dispensate mezzo stampa dall’onnipresente Crisanti. “Questi Migliori al governo sono apprendisti stregoni in fase di improvvisazione senza criterio”, tuona in un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano, criticando l’abolizione della quarantena per i vaccinati: “Non è logico”.

Implacabile, nell’arco effimero di un ospitata su La 7, sconfessa la misura simbolo del duo Speranza-Draghi: "Il Green pass è un incentivo per la vaccinazione, non è uno strumento di sanità pubblica. È una bufala pazzesca dire che col Green pass creiamo ambienti sicuri, serve ad indurre le persone a vaccinarsi". E l’inverno seguente, sempre sfruttando lo spazio concesso dai media famelici delle sue bordate impenna audience, rincara la dose: "Il green pass ha fallito, i vaccini da soli non bastano. Bisogna mettersi tutti le mascherine FFP2 per tre settimane per evitare un nuovo lockdown".

Lapidaria la sentenza calata su oltre due anni di misure anti contagio avallate dal suo neo compagno di coalizione: “D’altronde anche l’esperienza cinese dimostra chiaramente che le misure di contenimento con questo virus non funzionano”. E recentissima l’ultima staffilata in diretta, a in Onda su La7. Nel mirino del microbiologo ancora la linea dura del ministro: “Oggi non si può pensare più di controllare il Covid pensando di far diminuire i casi”.

Così a inizio luglio. Poi, il governo dell'ex Bce è caduto e il "tele-virologo" "idealista" e, per sua ammissione, “forse non adatto alla politica” scende in campo. E i giudizi trancianti sull’operato del ministro Speranza si fanno più sfumati. Dalla gestione “esitante” e “senza criterio” si passa a un accomodante e assolutorio come "vittima di un sistema, tutto italiano". Insomma, gli attriti dei tempi pandemici paiono archiviati in nome di una comune fede politica. Nel Pd.

Forse ha ragione Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma: candidarsi in politica sarà pur sempre “una scelta personale”, ma poi di fronte a certe repentine giravolte è inevitabile possa “essere vissuta da qualcuno con un pizzico di dietrologia”.

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