Quella crisi di Germania e Francia che dobbiamo sperare finisca al più presto

Non ha senso esprimere soddisfazione: le due maggiori economie europee sono legate a doppio filo all'Italia

Quella crisi di Germania e Francia che dobbiamo sperare finisca al più presto
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Il quadro macroeconomico europeo si muove a fatica senza identificare una direzione. La prima e la seconda economia di Eurolandia, la Germania e la Francia, sono i maggiori imputati di questa incertezza che già risente dei conflitti ucraino e israeliano. Difficile stimare le prospettive che si possano disegnare nel triennio in corso e quali effetti possano produrre per il nostro Paese, essendo la Germania (in foto il premier Scholz), soprattutto, ma anche la Francia, significativamente rilevanti per il nostro sistema industriale e, di riflesso, per quello sociale. Un sistema significativamente legato a quello tedesco quale primo mercato di sbocco della nostra manifattura, essenzialmente costituita dalla meccanica, in ogni sua declinazione, e dalla componentistica, anch'essa particolarmente rilevante, mentre sono limitate quella dell'elettronica, sia perché noi abbiamo un solo grande gruppo, in coabitazione azionario con i transalpini sulla materia, sia perché anche i tedeschi sono in ritardo sulle tematiche tecnologiche con la sole Siemens, Infineon e Sap, a rappresentare, ciascuna in un proprio ambito tecnologico, una leadership mondiale.

I francesi a loro volta sono molto rilevanti per la produzione dell'ampia costellazione del lusso, sia nella filiera, sia nella proprietà di molte tra le maggiori griffe italiane, ma lo sono anche nelle partecipazioni azionarie di massima importanza, come Mediobanca, Tim, Stm, Bnl Bnp Paribas, Parmalat, ma anche nelle costruzioni, nella mutica industriale e aerospaziale, senza dimenticare il caso Fiat-Stellantis. Da queste componenti deriva un combinato primario per le nostre eccellenti filiere, le quali sovente dipendono in maniera essenziale proprio da capi filiera teutonici e transalpini, condizione che deve far riflette chi oggi, in ambito non solo politico, ma anche culturale, si rallegra dell'innegabile arretramento delle due prime economie europee. Ad abundantiam per evitare goduriose espressioni da parte nostra di esagerate soddisfazioni per il loro rallentamento, ci sono i dati socio-economici storici di tedeschi e francesi che sono tutti a loro favore. Il debito pubblico italiano è al 135%, il francese al 110%,il tedesco ben sotto il 70 per cento. Un debito che a noi costerà, ad un tasso medio prevedibile del 3% per il biennio in corso, un salasso vicino ai 90 miliardi di euro, contro i 70 dei francesi e i 50 dei tedeschi. Importi che incideranno da noi molto più che sugli altri, limitando gli investimenti pubblici.

Stesso implicito ragionamento si può fare sul reddito procapite, in Germania superiore di oltre il 20% e Francia del 10%, al nostro. Infine sulla crescita del Pil degli ultimi decenni, per noi di gran lunga inferiore a Germania e Francia. Importante sottolineare che se l'export della nostra filiera ha contribuito in misura non certo secondaria alla realizzarne dei loro risultati di crescita, non altrettanto ha fatto il ruolo di partecipazione o capo commessa per noi. Il Pil tedesco, in recessione tecnica da tre trimestri, con previsioni sostanzialmente negative per i prossimi, produrrà ricadute negative indotte sulla nostra economia, portando a sistematiche influenze su commesse, riduzione delle redditività e rischio occupazione. Il tutto aumentato dal caso Cina, sia per i dazi incrociati, sia per il loro calo di consumi interni e quindi del nostro export diretto e indiretto attraverso la Germania.

Parimenti, ma con minor influenza, essendo essenzialmente l'attività di filiera indirizzata a moda e lusso, si potranno avere ripercussioni negative indotte dalla Francia.

L'auspicio a cui puntare è quindi quello di una ripresa delle economie tedesche e francesi e di un new deal italiano dell'export e delle committenze, ampliate ad altri Paesi in ogni dove nel globo.

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