Non è una crisi stagionale, non è una performance infelice: il Movimento 5 Stelle è a un passo dal presentarsi al tribunale fallimentare della politica con i libri sottobraccio.
Il misero 4,56% riportato alle Regionali in Liguria, dopo aver pure frantumato il «campo largo» con i veti contro Renzi, certifica la fine di una delle esperienze politiche più anomale della Repubblica. Il leader Giuseppe Conte è sconsolato e allarga le braccia: tra i siluri di Grillo e la costante erosione di elettori rimirerà ogni sera come un miraggio le sue fotografie alla scrivania di presidente del Consiglio a Palazzo Chigi.
Da abile avvocato d'affari, Conte ha dimestichezza anche con le società decotte votate all'irrilevanza se non addirittura alla cessazione dell'attività. Per proseguire il parallelo aziendale, la fotografia della situazione è impietosa: i Cinque Stelle sono stati espulsi dal mercato politico.
Le ragioni sono molteplici, analizziamole. Finita l'effimera stagione di governo, Conte non ha più avuto modo di lusingare l'elettorato meno attivo e più assistenzialista con prebende come il reddito di cittadinanza e il Superbonus che hanno fruttato consensi altissimi in certe regioni, segnatamente al Sud, a scapito dello svuotamento delle casse statali.
In più, in tutti questi anni i grillini hanno ridotto il loro bacino elettorale a un piccolo e informe zoccolo duro, senza saper trattenere categorie di riferimento. A Conte non è riuscito eguagliare il Pd della Schlein che, comunque, resta un punto di riferimento per fasce sociali ben delineate come insegnanti, sindacalisti, cattolici democratici, intellettuali e altri.
Anche sul piano dell'ambientalismo le continue giravolte hanno portato al distacco degli ecologisti più ideologizzati che hanno trovato un riparo sicuro sotto il tetto verde di Avs di Bonelli e Fratoianni.
Sono svaniti, per Conte e soci, persino i voti degli anticasta che si sono sfilacciati progressivamente fino a perdere il connotato di un blocco omogeneo. Difficile, poi, farsi votare come i paladini della lotta ai privilegi di Palazzo dopo una sbornia di incarichi istituzionali, indennità e auto blu. E diventa pure ipocrita additare a simboli di malcostume gli avversari quando si è governato insieme a tutti loro tra la stagione gialloverde, quella giallorossa e soprattutto la stagione dell'unità nazionale con Draghi.
A questo punto sembra più realistico l'appello all'autoestinzione del fondatore Beppe Grillo che la contrizione improduttiva dell'ex presidente del Consiglio, sempre pronto a
ripartire dopo continue batoste ai seggi. La vittoria di Alessandra Todde in Sardegna, unica affermazione elettorale sulle ultime dodici consultazioni, resta il bug irripetibile di un videogioco obsoleto che ha stancato tutti.
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