Dopo la tragedia di Valencia, il premier spagnolo Pedro Sánchez predica «unità» e chiede di rimandare la caccia alle «responsabilità» a un momento successivo. Ma in Spagna le polemiche montano lo stesso. Le rimostranze di molti ruotano attorno a due argomenti: la gestione politica dell'emergenza, il fatto che il campionato spagnolo, la Liga, non si sia fermato (se non in parte). Il mondo del calcio iberico ha infatti deciso di non rinviare quasi tutte le partite, nonostante la «seconda peggiore inondazione del secolo in Europa», come sempre Sánchez ha definito il ciclone. Quello che ha provocato più di 200 vittime e che ha sconvolto una nazione intera.
Dal punto di vista politico, le critiche si concentrano sull'operato del premier, socialista, e del governatore della Comunità valenciana Carlos Mazòn, del Partito popolare, che è accusato da più di un giornale spagnolo (da El Pais a Publico) di aver commesso una serie di errori. Tra i temi caldi, anche l'impossibilità di inchiodare il governatore sotto il profilo legale: sarebbe stato possibile soltanto se il livello emergenziale fosse stato innalzato a «3». Cosa che, appunto, non è avvenuta. E per cui anche Sánchez è finito sotto accusa. Questo perché l'esecutivo avrebbe potuto decidere al posto di Mazòn. Ambienti conservatori ritengono che il premier non abbia imposto l'innalzamento del livello di emergenza per bruciare Mazòn politicamente. Altri, invece, pensano che Mazòn non abbia chiesto al premier di passare al livello 3 per non andare allo scontro con il governo.
Ma in queste ore è soprattutto il calcio a tenere banco. Sono due le partite rinviate: Valencia-Real Madrid e Villareal-Rayo Vallecano. Sono i due match che avrebbero interessato le zone colpite da Dana. Le voci contrarie alla scelta sono maggioritarie, anche tra gli allenatori. Il punto sollevato è l'«unità nazionale». Quella che, giocando buona parte del campionato, sarebbe venuta a mancare. Per Hansi Flick, allenatore del Barcellona, sarebbe stato meglio «bloccare l'intera giornata per la tragedia». E questo perché quest'ultima «non colpisce solo Valencia ma tutto il Paese». Stessa argomentazione di Diego Simone, tecnico dell'Atletico Madrid. «Non ha alcun senso - ha dichiarato il «Cholo» - giocare questo fine settimana. Ciò che sta succedendo da una parte è durissimo per il numero di vittime, dall'altro è emozionante per le migliaia di persone che sono scese in strada ad aiutare, chi con un badile, chi senza niente», ha aggiunto. E ancora «Una cosa (l'atteggiamento dei volontari, ndr) che dice un mondo di bene di questo Paese. A noi dicono di andare avanti e lo facciamo, ma è molto triste». Ma i vertici della Liga hanno un'altra opinione. «Crediamo che nella terribile situazione che stiamo vivendo in Spagna, il miglior messaggio sia quello di non fermarci, tranne che nelle zone colpite», ha fatto sapere il presidente Javier Tebas, che era già stato eletto nel 2013 e che guiderà la Liga almeno fino al 2027. Come spesso accade in circostanze tragiche come queste, la scelta è tra la sospensione del tempo e il lasciare che quest'ultimo continui a scorrere.
«Il miglior messaggio - ha continuato Tebas - è essere in prima linea nel nostro lavoro, come tutti i lavoratori del resto del mondo. Dando visibilità, generando risorse e spiegando al mondo che dobbiamo essere tutti coinvolti per andare avanti», ha chiosato il presidente della Liga spagnola. Il calcio iberico non si fermerà.
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