Dentro la magistratura il relativismo giuridico è di casa. È bufera sul sostituto procuratore di Brescia, Antonio Bassolino, che ha chiesto l'assoluzione per un uomo originario del Bangladesh denunciato dalla moglie per maltrattamenti, frutto a suo dire «dell'impianto culturale» e non «della sua volontà di comprimere le libertà morali e materiali» dell'ex coniuge. Mentre il Csm chiede di aprire una pratica a carico del magistrato (omonimo e pare lontano parente dell'ex sindaco Pd di Napoli) l'Anm entra a gamba tesa per difendere l'autonomia (e la reputazione) del giovane magistrato.
A depositare la richiesta al comitato di presidenza di Palazzo de' Marescialli è stato il consigliere laico del Csm Enrico Aimi (Fi), presidente della Prima commissione, sconvolto dalla «gravità delle asserzioni del pm che parrebbe giustificare, se non autorizzare, la violenza domestica» in nome di fantomatici «alibi culturali» che per il laico Csm «non devono trovare ospitalità nel nostro ordinamento». L'affondo dell'organo di autogoverno della magistratura arriva dopo la sommossa bipartisan del mondo politico per una requisitoria che ferisce soprattutto per il momento storico che stiamo vivendo, con una recrudescenza della violenza nei confronti delle donne che non sembra fermarsi nonostante una legislazione sempre più repressiva, dal cosiddetto Codice rosso fino al ddl sulla violenza che avrà un iter accelerato.
A molti è parsa anche una sorta di autogol la tardiva presa di posizione del procuratore capo di Brescia Francesco Prete, che per salvare il suo ufficio (che non voleva neanche processare l'uomo) ha scaricato il suo sostituto con toni ultimativi: «La Procura si dissocia e ripudia qualunque forma di relativismo giuridico», si legge nella nota diffusa l'altro giorno firmata da Prete, che ha ribadito la fermezza della Procura «nel perseguire la violenza, morale e materiale» nei confronti delle donne.
Una mossa che l'Anm di Brescia stigmatizza in modo netto, timorosa che le critiche a Bassolino «si propaghino alla magistratura in generale». «È stata gravemente minata - dice il sindacato delle toghe - la dignità umana e professionale del magistrato coinvolto (di cui sono state offerte alla gogna mediatica generalità e immagine fotografica) e la cui cifra personale, culturale e professionale è stata indebitamente messa in discussione». Secondo l'Anm non è stata adeguatamente messa in rilievo ciò che emergeva dalle indagini, cioè «la mancanza di prova del fatto tipico, e in particolare dell'abitualità della condotta, requisito previsto dalla legge perché il reato di maltrattamenti si configuri». La vittima dei maltrattamenti, in realtà, ha parlato di un condizionamento psicologico e fisico durato anni, tra urla e percosse, condito dalla minaccia di un ritorno forzato in Bangladesh, con conseguenze imprevedibili per la sua stessa incolumità.
Il timore dell'Anm è che la politica - proprio nel momento in cui si discute di riforma della magistratura, separazione delle carriere, segretezza delle informazioni di garanzia e revisione dell'obbligatorietà dell'azione penale - approfitti di questa vicenda per provare a limitare l'autonomia dei magistrati, come secondo l'Anm confermerebbero «le ispezioni ministeriali e le sanzioni disciplinari, a prescindere dalla sussistenza dei presupposti di legge, quale rimedio per ogni male giudiziario (reale o presunto)». In effetti prima Riccardo De Corato (Fdi) poi Maurizio Gasparri hanno invocato l'intervento degli 007 del Guardasigilli Carlo Nordio, anch'egli turbato dai toni usati dal pm Bassolino nella richiesta di assoluzione dell'uomo tanto da definire «inaccettabile» la posizione assunta dal pm nella requisitoria.
«Dispiace che l'Anm di Brescia evochi la dignità umana del solo magistrato, trascurando di menzionare quella della donna maltrattata, non creduta e mortificata dalla giustizia», commenta l'avvocato Valentina Guerrisi. Difficile scrivere un peggior epitaffio per la residua credibilità della magistratura italiana.
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