Il Csm "licenzia" Davigo. Il Dottor Sottile scaricato perfino dai suoi colleghi

L'ex pm va in pensione. Contro la proroga a Palazzo dei Marescialli pure Di Matteo e Salvi

Il Csm "licenzia" Davigo. Il Dottor Sottile scaricato perfino dai suoi colleghi

Alla fine lo scarica anche un mito della lotta alla grande criminalità come Nino Di Matteo. «Con grande difficoltà umana ma in piena coscienza - spiega il consigliere indipendente - voterò per la decadenza di Davigo dal Csm. Altrimenti avremmo un tertium genus di consigliere, né togato né laico che altererebbe il rapporto fra la componente togata e le altre in Consiglio, violando lo spirito delle norme costituzionali».

Così, dopo un pomeriggio di discussioni, il plenum di Palazzo dei Marescialli stabilisce che Piercamillo Davigo, l'ex Dottor Sottile del Pool Mani pulite, uno dei più noti magistrati italiani, deve lasciare il Consiglio superiore della magistratura. Oggi infatti l'ex pm, noto per le sue battute affilate come un rasoio, compie settant'anni e va in pensione. Dunque, non può rimanere al Csm, dove è il leader della componente Autonomia e indipendenza. In qualche modo, si chiude un'epoca. Il plenum si spacca ma la distanza fra i due «partiti» è netta, più marcata di quello che si poteva pensare alla vigilia, quando si immaginava una votazione sul filo di lana.

Va in un altro modo: 13 consiglieri votano per mandare Davigo a casa, 6 per lasciarlo al suo posto fino alla scadenza naturale del 2022, 5 si astengono.

Lui non c'è: è a Perugia, dove viene ascoltato in procura come teste nel procedimento contro Luca Palamara, appena radiato dalla magistratura, espulso dalla Disciplinare del Csm in cui sedeva anche Davigo.

Davigo ha cercato di salvare lo scranno con un ragionamento molto tecnico svolto nei giorni scorsi: la Costituzione non dice nulla di esplicito sul punto, mai affrontato in precedenza. Spiega solo che i consiglieri restano in carica 4 anni, ma se vale la decadenza a metà mandato allora si doveva ragionare sull'ineleggibilità di Davigo. E invece il giudice è stato eletto tranquillamente nel 2018, anche se tutti sapevano che oggi avrebbe tagliato il traguardo delle 70 candeline.

Ma le obiezioni di Davigo vengono superate da altre argomentazioni che orientano l'aula alle prese con un caso spinoso, fra dissertazioni giuridiche e suggestioni simboliche. Il protagonista non è solo una pratica con un numero, ma è un'icona al centro del dibattito, e anche di polemiche furibonde, da quasi trent'anni.

Insomma, votare per costringerlo a sloggiare vuol dire togliere il piedistallo a un peso massimo del sistema giudiziario. Ma è proprio in questa direzione che spingono i vertici del Csm. «Il pensionamento - taglia corto il primo presidente della Cassazione Pietro Curzio - fa venire meno lo status di magistrato e questo comporta il venir meno delle funzioni giudiziarie e quelle di componente del Csm». Altrettanto tranchant il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi: «A far parte del Csm non possono che essere magistrati in servizio». E oggi sulla lunga e prestigiosa carriera della toga cala il sipario. Sulla stessa linea si colloca anche il vicepresidente David Ermini: «Questa è una scelta dolorosa ma inevitabile. La Costituzione ci costringe a rinunciare a Davigo». Pure la sinistra di Area, dilaniata da interpretazioni diverse, si divide fra favorevoli alla «proroga» e astenuti. Partita chiusa.

Votano contro, oltre ai vertici della Cassazione e al vicepresidente Ermini, i togati di Unicost e di Magistratura indipendente, i due laici di Forza Italia, il

laico della Lega Emanuele Basile e perfino il 5 Stelle Filippo Donati, più Di Matteo. Uno schieramento trasversale, pure se saturo di rammarico e rimpianto. Davigo saluta, farà ricorso e intanto tornerà in tv e sui giornali.

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