Un passato da assistenzialista dal cazzeggio facile, un presente da «atlantista ed europeista». In tutte le migliori famiglie, si guastano i rapporti personali quando un membro si affranca dal gregge per volare alto. Nella drammatica resa dei conti interna ai Cinque Stelle, stupisce lo stupore di Luigi Di Maio nel vedersi processato dai suoi stessi compagni per esercitare il ruolo di ministro degli Esteri nel solco dei valori occidentali.
Meglio atlantisti che putinian-novax, meglio un Di Maio redento che un Conte pacifista per sopravvivere o un Di Battista sempre sul pezzo quando c'è da mostrarsi irriducibili come segno di intonsa purezza ideologica.
C'è da sorridere a scorrere le rassegne stampa di due distinte ere grilline, l'ascesa di piazza a colpi di vaffa e la stagione gialloverde di Palazzo Chigi come alleati di Salvini. La stessa sinistra, che ora vede Luigino come il soldato Ryan da trarre in salvo dalle truppe contiane, brillava nel dipingere il politico campano come un improvvisato opportunista che aveva venduto l'anima per una poltrona. Non è casuale che nei mutevoli organigrammi di palazzo, si cominci già a ragionare su una ciambella di salvataggio del Pd per l'autorevole dissidente grillino e qualche suo accolito.
Il «non detto» va sempre nella direzione che piace tanto a un certo pensiero dominante, quello della sinistra istituzionale che sa redimere anche le cause apparentemente perse. Di Maio, da gaffeur di Pomigliano d'Arco, è diventato un ministro di prima fascia certamente presentabile, sorretto e guidato da un sofisticato sistema di Palazzo fatto di triangolazioni tra Quirinale, Farnesina e servizi segreti. E, dunque, la parrocchia dem non può vantare un diritto assoluto nella costruzione dell'uomo di governo. Se il responsabile della diplomazia italiana si sente a disagio per la mancata comprensione del suo afflato occidentale, può anche rivolgersi altrove. I valori che lui oggi erge a linea guida non sono certo la stella polare dei Cinque Stelle. E questo da sempre.
Forse non si può dire, ma Di Maio, tra tanti peccati, annovera una virtù nascosta: non è di sinistra e tanto meno ha origini comuniste. Nel governo Draghi è nota la sua sintonia, anche in tema di sviluppo economico, con il ministro leghista Giancarlo Giorgetti.
E tra i suoi fedelissimi, non è un mistero che il viceministro Laura Castelli abbia condotto battaglie liberiste a fianco di Forza Italia. Anche dalle parti di Arcore gli viene riconosciuta moderazione e civiltà. Così per ricordare. Per lui il centrodestra avrà tanti difetti, ma sicuramente non ha mai cacciato o perseguitato «europeisti e atlantisti».
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