Dai 5 Stelle al Pd: la paura del voto scatena il tutti contro tutti

Sono ore decisive per il futuro della legislatura. Si attendono novità dal Senato. Intanto nei partiti di maggioranza è partita una guerriglia tra bande

Dai 5 Stelle al Pd: la paura del voto scatena il tutti contro tutti

Come nel countdown di un thriller, sembra prossima alla fine l’esistenza del governo Conte 2. L'epilogo arriva in uno scenario di guerriglia tra bande all’interno degli stessi partiti di maggioranza. Una situazione che inevitabilmente porterà con sé degli strascichi. Dal Partito democratico al Movimento 5 Stelle, il livello di tensione nel dibattito interno vira verso l’allarme rosso. Del resto esecutivo si muove ormai da giorni claudicante, azzoppato dalle dimissioni delle ministre renziane Elena Bonetti e Teresa Bellanova: impossibile far finta di niente. La data di domani è quindi cerchiata in rosso. Dopo tanti giorni annunciati come decisivi, martedì 26 gennaio è davvero quella cruciale per l’esecutivo in carica.

La caccia grossa ai costruttori dovrebbe portare i frutti sperati da Palazzo Chigi. “Ci saranno novità nelle prossime ore”, conferma a IlGiornale.it uno dei pontieri in azione al Senato. Ma con una premessa fondamentale: appena trovato il numero di dieci senatori per costituire il gruppo a Palazzo Madama, il presidente del Consiglio deve andare al Quirinale per rassegnare le dimissioni. E poi ottenere il reincarico per il Conte ter. Ed è ormai una necessità, perché i gruppi parlamentari sono sul punto dell’esplosione. “L’unica sensazione che si avverte è quella della confusione. Siamo tutti spaesati”, ammette un deputato del Movimento 5 Stelle, che si muove a tentoni. Ieri il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha dato il timing: 48 ore per una soluzione, dopo scatta il “tana liberi tutti”. Che per l’ex capo politico del M5S è il ritorno alle elezioni.

Voto anticipato e malumori grillini

Peccato che deputati e senatori grillini non vogliano nemmeno sentir parlare di voto anticipato. “Se facessimo una conta, quanti sarebbero disposti a immolarsi per salvare Bonafede come ministro della Giustizia?”, si chiedono, retorici, negli ambienti del Movimento. Ma tra le questioni personali e quelle politiche ci passa un oceano: il Guardasigilli ha un rapporto di ferro con Conte. In un quadro traballante lo spostamento di qualsiasi pedina è un’operazione complicata: la defenestrazione del capo delegazione M5S sarebbe un cannoneggiamento sulla tenuta dell’alleanza, oltre che dello stesso Movimento. Gli sfoghi ad alta voce riportano il sentimento che alberga in Parlamento: sono il segnale che i peones si sentono come anime in pena, non comprendono tanti tatticismi, sono studi dell'oltranzismo. “Perché Conte non accetta il percorso verso un nuovo governo che passi per la formalità di dimissioni?”, si sfoga un altro parlamentare pentastellato. Il motivo è in verità noto: non si fida affatto degli alleati. E non che abbia torto, visto il clima. Tra i corridoi di Montecitorio, la sostituzione del presidente del Consiglio non è più un tabù. Primum vivere è il motto preferito di chi ha come obiettivo di concludere la legislatura. Mentre i vertici, Di Maio in particolare, tengono il punto. “Avanti con Conte”, è l’inattaccabile linea ufficiale. Una guerra tra bande in cui è anche arduo comprendere quali e quante siano le correnti all’interno dei 5S.

Dem rossi di rabbia

Ma se il Movimento piange, il Pd non ride. Anzi. L’atmosfera si sta surriscaldando. Ci sono gli ex renzianissimi, come il capogruppo dem al Senato, Andrea Marcucci, che chiedono a grande voce un rinnovato confronto con il leader di Italia viva. “A me pare che l’unica maggioranza politica possibile sia ancora solo quella entrata in crisi per una scelta palesemente sbagliata di Italia Viva”, ha candidamente dichiarato la deputata del Pd, Marianna Madia. “Piaccia o meno, Renzi in questa legislatura è decisivo. Bisogna tenerlo in conto e non possiamo tenere il punto per dispetto”, è il sunto di molti discorsi che circolano tra i dem. Specie quelli che sanno che alle prossime elezioni non saranno candidati, in nome del rinnovamento. Non è peraltro un mistero che tra i gruppi parlamentari del Pd, formato in gran parte da candidati scelti da Renzi (all'epoca leader dem), e la segreteria di Nicola Zingaretti ci siano divergenze. In caso di consultazioni al Quirinale, il peso dei gruppi si farà sentire.

Tanto che che nel partito la crisi di governo sembra il prologo di una stagione congressuale. Per mettere in discussione la leadership di Zingaretti e la sua strategia tutta orientata all’alleanza organica con i 5 Stelle.

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