Prima di pensare a come gestire la fase due, è bene capire quando farla partire. E la decisione ovviamente non deve essere solo politica o economica. Ma scientifica. Per questo i virologi si mobilitano per evitare che vengano prese decisioni affrettate, di cui pentirsi prima della fine di maggio. Pierluigi Lopalco, docente di Igiene all'università di Pisa e coordinatore della task force per le emergenze epidemiologiche della Regione Puglia, interviene sul sito Medicals facts del virologo Roberto Burioni per mettere in chiaro i cinque paletti da tener presenti. «Per decidere quando avviare la fase 2 della crisi Covid-19 - spiega - non mi fiderei del valore di R0, che indica quante persone infetta un paziente positivo al nuovo coronavirus, né tanto meno del numero di casi che tende a zero».
Piuttosto il Governo dovrebbe trovare la risposta ad alcune domande. Per rendere misurabile il rientrato allarme. Quanti tamponi per mille abitanti si riesce a fare in una settimana? Quanti tamponi sul totale risultano positivi? Qual è la quota di casi di Covid-19 registrati dal sistema di sorveglianza di cui non si conosce l'origine? Quanti focolai di trasmissione (catene di contagio) sono ancora aperti? Qual è la quota di casi Covid-19 che giungono alla segnalazione per la prima volta come «casi gravi»? Altro quesito a cui è necessario saper rispondere prima di lanciarsi in mosse azzardate: esiste un sistema di sorveglianza di tosse e febbre diffusa sul territorio attraverso pediatri di famiglia e medici di medicina generale che segnali precocemente eventuali focolai epidemici? E ancora: esiste un sistema di allerta che in tutti gli ospedali del territorio sia in grado si segnalare un eccesso di ricoveri di malattia respiratoria acuta grave?
«Sulla base di quali informazioni il Governo dovrebbe decidere di modificare le attuali misure di distanziamento sociale? - si chiede Lopalco - Certamente non possiamo aspettare che tutte le regioni italiane arrivino a notificare in un tempo ragionevole zero casi». Anche perchè - lo abbiamo ben capito in queste settimane - i casi ufficiali non corrispondono a quelli reali, quindi i numeri vanno sempre presi come una fotografia parziale dei contagi. E all'incirca vanno moltiplicati per dieci volte. Questo significa che ha senso fare curve, modelli e proiezioni sull'indice R0 ma tenendo sempre presente che stiamo sottostimando il fenomeno.
«Per questo, in questo momento che precede la fase 2 - sostiene l'epidemiologo - sarebbe necessario raccogliere informazioni dettagliate sulla capacità dei diversi territori di condurre un'accurata sorveglianza epidemiologica. Solo allora saremmo sicuri che i dati rivenienti dal sistema di sorveglianza ci forniscono informazioni affidabili».
Per impostare la ripresa sicura delle attività, in Veneto un gruppo di medici del lavoro dell'associazione medici d'azienda è andata oltre decreti legislativi e testi unici e ha messo a punto un protocollo per gestire la ripresa di maggio. Il monitoraggio, secondo i medici, deve partire dalle aziende. A cominciare da quelle più grande e i cui dipendenti si presume abitino in contesti in cui risulta difficile rispettare le norme di sicurezza anti contagio. Solo così si potranno spegnere sul nascere eventuali nuovi focolai. «Per ora abbiamo monitorato una decina di aziende, 1.500 dipendenti in tutto - spiega il medico del lavoro Ubaldo Lonardi - Abbiamo sottoposto tutti a triage e poi abbiamo selezionato i casi a cui fare il tampone o il test sierologico. Ogni due settimane abbiamo rifatto il tampone.
Risultato: abbiamo individuato 15 casi di persone positive asintomatiche e abbiamo provveduto a isolarle, spegnendo sul nascere eventuali focolai. Monitorare le aziende è un filtro necessario per poter lavorare in sicurezza».
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