Sono due i cavalli di Troia che, dall'interno del bacino geopolitico euromediterraneo, continuano a foraggiare iniziative antieuropee. Da un lato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sposa tout-court la tesi putiniana sul grano, in modo da favorire la commercializzazione anche di quello russo; e dall'altro il primo ministro ungherese Viktor Orban accetta obtorto collo le sanzioni anti Russia, ma con una postilla futura su tre oligarchi interdetti.
Erdogan, in visita in Croazia dopo le tappe in Bosnia-Erzegovina e in Serbia, per rafforzare la sua sfera di influenza nel costone balcanico, ha detto che il presidente russo ha tutte le ragioni a lamentarsi del fatto che il grano ucraino, sbloccato dall'accordo targato Onu, fosse destinato principalmente ai paesi ricchi piuttosto che ai paesi poveri, sottolineando che voleva che anche il grano dalla Russia fosse esportato. «Il fatto che le spedizioni di grano vadano verso i Paesi che applicano queste sanzioni (contro Mosca) disturba Putin ha precisato da Zagabria - Vogliamo anche che le spedizioni di grano inizino dalla Russia».
Non stupisce la posizione di Ankara, ampiamente prevedibile dopo che lo stesso Erdogan si era proposto come mediatore nella crisi del grano dopo aver provato anche a bloccare l'ingresso nella Nato di Finlandia e Svezia, stimolando la creazione del gruppo di coordinamento con sede a Istanbul che comprende i quattro firmatari. Secondo il presidente turco, Putin è nel giusto quando dice che solo due delle 87 navi che trasportavano 60.000 tonnellate di prodotti sono andate nei paesi poveri: «È l'Occidente ad agire come gli stati coloniali».
Il tutto mentre l'inflazione in Turchia ha superato l'80% ad agosto nell'arco di un anno, dal 79,6% di luglio, un livello record mai registrato dal 1998.
In questo scenario, già altamente complesso, ha fatto irruzione Orban le cui decisioni impattano sulla riunione degli ambasciatori dell'Ue tenutasi a Bruxelles: sarebbe sì pronto ad accettare una proroga delle sanzioni alla Russia di altri sei mesi, ma in occasione del prossimo rinnovo Sofia avanzerà le proprie considerazioni sugli elenchi dei soggetti sanzionati, attualmente composto da 1.217 persone e 108 società.
Il riferimento, secondo fonti diplomatiche, sarebbe principalmente a tre nomi di peso, come Viktor Rashnikov, Alisher Usmanov e Pyotr Aven il cui blocco dei beni non è condiviso dal governo ungherese. Rashnikov possiede Magnitogorsk Iron and Steel Works, con un'antenna di trading a Lugano, uno dei maggiori produttori d'acciaio del mondo ed ha un patrimonio stimato di 10,5 miliardi di dollari. Lo scorso marzo ha trasferito le sue quote nella compagnia siderurgica Mintha Holding con sede a Cipro alla Altair LLC con sede in Russia. Nel 2018 era già stato inserito in una lista degli oligarchi di Putin dal Dipartimento del tesoro americano.
Usmanov, sanzionato dal febbraio scorso assieme alle sue sorelle Saodat Narzieva e Gulbakhor Ismailova, ha presentato ricorso ad aprile nel tentativo di revocare le sanzioni che hanno impedito loro di viaggiare attraverso l'Ue o di utilizzare beni come un mega yacht da 600 milioni di dollari, probabilmente il più grande al mondo, accusato dalla polizia tedesca di essere parte di una complessa rete di holding facente capo a Ismailova.
Infine Aven, accademico, politico e uomo d'affari russo con un patrimonio del valore di 4,5 miliardi di sterline. Non appena inserito nella black list, ha detto ufficialmente di non sapere se potrà continuare a pagare anche le bollette più elementari.
Assieme al suo sodale Mikhail Fridman negli anni '90 ha edificato un colosso bancario di servizi finanziari e di investimento grazie al gruppo Alfa, per poi cedere nel 2013 la loro partecipazione in TNK-BP a Rosneft, il gruppo petrolifero e del gas.
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