La droga, i tentativi di estorsione, le rapine, i sequestri di persona, grossi giri di soldi, un potere esercitato con una ostentazione guascona ma tutt'altro che bonaria. Varie ed eventuali. Per descrivere un personaggio come Vittorio Boiocchi - l'intreccio tra gli anfratti del suo curriculum da pregiudicato con più di 26 anni di carcere alle spalle e l'istrionismo da vecchio capo ultrà della Curva Nord dell'Inter - ci vorrebbe un romanzo, criminale naturalmente. In certi ambienti, per tanti tifosi, non era esattamente uno qualunque quest'uomo di 69 anni che tra gli anni Ottanta e Novanta guidava lo storico gruppo ultrà «Boys San» e che è morto «giustiziato» sabato sera in strada, davanti a casa sua - in via Fratelli Zanzottera 12, nel quartiere Figino, ai limiti della periferia ovest della città - dopo che almeno tre dei cinque proiettili che gli erano stati sparati contro sono andati a segno tra il collo e il torace. Un «anziano» capo ultrà il cui ultimo atto, prima di andarsene, è stato quello, rituale e irrinunciabile nonostante fosse sommerso da divieti e Daspo, di andare ad arringare i Boys della curva davanti allo stadio Meazza prima del match dei nerazzurri con la Sampdoria nella dodicesima giornata di campionato. Ed è proprio da lì che i suoi killer devono averlo seguito.
Compiuta la sua «missione» con la tifoseria (tra i vari divieti il capo ultrà aveva quello di stare lontano almeno due chilometri dallo stadio di San Siro durante le partite dell'Inter, ma solo a partire dall'inizio del match) Boiocchi era tornato a casa in scooter. Gli aveva dato un passaggio un amico che, percorsi poco più di cinque chilometri, lo aveva lasciato a due passi dal suo condominio e dopo averlo salutato era ripartito. Sono le 19.50. In perfetto orario visto che il 69enne, in qualità di sorvegliato speciale, aveva l'obbligo di non uscire dalla sua abitazione a partire dalle 21. I suoi killer arrivano immediatamente dopo, anche loro in sella a un grosso scooter. Mentre l'uomo è ancora sul marciapiedi il passeggero, senza scendere, gli punta contro la sua semiautomatica e spara cinque volte. Immediatamente dopo il complice alla guida dà gas e si mette in fuga. Qualche avventore del vicino bar Sahary esce in strada ma non vede già più nessuno.
Nella strada, un budello stretto fatto di edifici bassi (e dove le poche telecamere non hanno ripreso le fasi del delitto) quei cinque colpi rimbombano fortissimi. «Sembravano delle esplosioni» spiegheranno subito dopo i vicini. E mentre la via viene transennata con i cordoni sanitari della polizia per delimitare l'area dell'omicidio segnata da una vistosa macchia di sangue, il 69enne muore al suo arrivo all'ospedale San Carlo senza mai riprendere conoscenza.
«Lo scenario non è chiaro, tutte le possibilità sono aperte» spiegano gli investigatori della Mobile guidati dal dirigente Marco Calì e che lavorano sul caso insieme alla Digos sotto la coordinazione del pm Paolo Storari della Dda. Tuttavia gli stessi sono praticamente certi che l'omicidio del capo ultrà nulla abbia a che fare con questioni riguardanti la Curva o comunque controversie interne alle tifoserie. «Se qualche dinamica all'interno delle tifoserie fosse cambiata nell'ultimo periodo se non la polizia, i carabinieri o la guardia di finanza ne avrebbero captato i segnali» spiegano in Procura.
Le modalità dell'agguato mortale parlano chiaro: si è trattato di un regolamento di conti in piena regola.
E gli investigatori della questura sanno che, per risalire ai suoi killer, dovranno partire proprio dal passato di Boiocchi, mai davvero archiviato, nonostante i tanti anni di carcere, come dimostrano le sue recenti frequentazioni con 'ndranghetisti e pregiudicati di vario livello, molti narcotrafficanti di spicco. Senza mai tralasciare di dare un'occhiata a San Siro.
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