Tutti salvi. Tutti vivi, sbarcati in quello che sembra «il bel mezzo nel nulla», ed è invece un vasto campo di grano: un atterraggio d'emergenza, un vero miracolo messo a segno dal pilota Damir Yusupov. L'aereo (223 passeggeri più i 7 membri dell'equipaggio) aveva appena preso il cielo da Mosca: pochi secondi dopo il decollo, l'impatto con uno stormo di uccelli che sembra fatale, perché danneggia gravemente il motore. Tutti e due i motori. L'airbus è fuori controllo e vaga senza rotta per pochi chilometri, che ai passeggeri, su quell'aereo in balia della sorte, sembrano eterni. Finché Yusupov, il pilota quarantunenne al comando, riesce a compiere una manovra d'atterraggio nel campo di grano poco distante dall'aeroporto Zhukovsky di Mosca. È la fine di un incubo, tanto che il portavoce del presidente Vladimir Putin, Dmitry Peskov, saluta i piloti come «eroi», annunciando che riceveranno riconoscimenti statali. Il primo ministro Dmitry Medvedev, dal canto suo, apre una sessione di gabinetto lodando l'equipaggio e chiedendo al ministro dei trasporti di spiegare cosa sia successo in dettaglio.
Damir Yusupov ha appena quarantun anni, sì, ma ha volato per 3mila ore della sua vita: un'esperienza lunga e importante, successiva alla carriera da avvocato; il comandante del volo della Ural Airlines ha consegnato alla storia un capolavoro di tecnica e talento (delicato come un deltaplano, gigante come un aereo che contiene 230 anime), e una piccola pagina di Storia che commuove per il suo significato di speranza. «Mi ha chiamato dopo l'atterraggio e mi ha detto: Va tutto bene, sono tutti vivi», ha raccontato la moglie di Yusupov alla televisione di Stato russa. «Era molto teso ed è scoppiato in lacrime».
Figlio di un pilota di elicotteri, Yusupov ha appeso al chiodo la sua formazione di avvocato per iniziare la scuola di volo quando aveva già 32 anni. È padre di quattro figli, e ha iniziato a lavorare come pilota con Ural Airlines nel 2013, diventando comandante solo lo scorso anno. Una vicenda che riporta le lancette del tempo, in qualche modo, a dieci anni fa: a quello che, nel 2009, veniva definito «il miracolo dell'Hudson», e che dalle colonne della cronaca, Clint Eastwood ha fatto planare sul grande schermo, col film Sully (2016). «Nessuno era mai stato addestrato per una simile situazione» sono le battute di Tom Hanks, interprete del comandante di quel volo della US Airways, che salvò 155 persone da un'avaria a entrambi i motori (come accaduto ieri in Russia), ma nelle acque del fiume Hudson, (New York, a ovest di Manhattan): e ancora, «ora per la gente è un eroe», riferito al personaggio di Chesley Sullenberger, detto «Sully», sono echi cinematografici di non una, ma due storie vere. La seconda, appunto, realizzatasi ieri: la prima, che a Clint Eastwood è piaciuto approfondire e intrecciare con aspetti controversi e drammatici.
Nondimeno sembra un film anche la clip mandata in onda dalle emittenti russe, e ripresa dalle maggiori testate online del mondo nel pomeriggio di ieri.
L'immagine di un aereo bianco esanime come un albatro, un'ambulanza giunta sul posto immersa nell'erba foltissima, nel paesaggio ovattato e selvatico che, uno a uno, vede i passeggeri riemergere dal ventre dell'aereo, abbracciarsi tra i giunchi che li aspettano in piedi come le forze dell'ordine. Dire grazie, e ancora grazie.
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