Maria Antonietta Farina Coscioni è la vedova di Luca e presiede l'Istituto che porta il suo nome dal 2014.
Perché il ddl sul fine vita che domani approda in aula a Montecitorio non le piace?
«Luca diceva di ricordare sempre che il suicidio assistito è una scelta durissima per chi la compie e per chi sta accanto. Se questa legge passasse, una disumana burocrazia allungherebbe i tempi per realizzare la volontà del malato: richieste, autorizzazioni, valutazioni di Comitati etici, che perpetuerebbero il dolore. Mio marito si nutriva artificialmente, ma quando non ha voluto attaccarsi alla macchina per respirare artificialmente ha fatto la sua scelta. Invalicabile, escludente anche per i più cari. Nessuno poteva cambiarla, solo rispettarla. Questo dovrebbe fare lo Stato».
Che cosa critica del testo?
«In questa legge non si riconosce il diritto di suicidarsi, che già lo è, si stabilisce che cosa lo Stato può fornire al malato che vuole procurarsi la morte. Malato in grado di esprimere la volontà, capace di inocularsi un farmaco senza intervento diretto del medico. Eppure è prevista l'obiezione di coscienza. È una questione centrale, che apre una serie di problemi. Il farmacista si potrebbe rifiutare di vendere l'agocannula per un suicidio assistito? È il solito retaggio ideologico che emerge sul fine vita. Le stesse cure palliative non sono date per scontate».
Peggiorerebbe la situazione rispetto alla legge in vigore?
«Si, riguardo l'obiezione di coscienza, la sofferenza psichica e le cure palliative. Nascerebbero conflitti, ricorsi in tribunale per l'interpretazione corretta della norma. Visto che la stiamo scrivendo, facciamola chiara».
Lei parla dei tempi lunghi.
«Servono tempi certi per la risposta ai malati, per non ripetere lo scaricabarile da 15 mesi per il suicidio assistito di Mario. Ogni altra legislazione prevede tempi brevi, da noi si consente un rimpallo continuo. Mario è l'ultimo in ostaggio, prigioniero per un tempo senza fine. Nel testo c'è un lungo rituale dalla richiesta di morire. Ecco perché chi può, come Dj Fabo, va in Svizzera».
Altri ostacoli?
«Perché la richiesta nel luogo di residenza? Non posso morire al mare e non nella mia città? Serve la verifica informata: quella quotidiana di medici curanti e specialisti non lo è già?».
Lei parla di discriminazione verso i malati non dipendenti da trattamenti vitali, come quelli terminali di cancro o affetti da patologie neurodegenerative.
«Tra i presupposti ci sono l'irreversibilità del male o della condizione clinica e la piena coscienza, non mi sembra necessaria la dipendenza da una macchina».
Che cosa succederà in parlamento?
«Ci sono punti da migliorare, i relatori di Pd e M5s dovrebbero alleggerire un percorso che non può essere a ostacoli, perché questi malati potrebbero morire di burocrazia».
E il referendum sull'«omicidio del consenziente».
«Riguarda chi materialmente si sostituisce alla persona non in grado di compiere un intervento diretto. Legiferare sul fine vita dovrebbe dare risposte anche a questi casi, ma si rimanda ogni decisione ai giudici».
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