Il processo contro Eni si doveva vincere a tutti i costi, e per questo la procura di Milano era disposta a tutto. «L'atteggiamento era noi questo processo non lo possiamo perdere, Eni non deve uscirne bene. Per me questo era inaccettabile, perché io faccio il pm e voglio che su di me ci sia la massima trasparenza». Lo dice a chiare lettere, il pm Paolo Storari che ieri ha raccontato la sua verità nel processo «toga contro toga» al tribunale di Brescia, competente sui reati che riguardano i colleghi magistrati milanesi. Il magistrato sentito ieri come teste per tutta la giornata è il grande accusatore del procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e dell'ex pm Sergio Spadaro, oggi in forze alla procura europea, che rispondono di rifiuto di atti d'ufficio. E le sue parole sono risuonate fortissime, anche perché hanno dipinto l'atmosfera presente nel terzo dipartimento guidato appunto da De Pasquale, chiamato scherzosamente dai colleghi «il dipartimento viaggi e vacanze, con pochi fascicoli», come ammette lo stesso pubblico ministero. Storari ha spiegato ieri che non solo indicò ai colleghi alcune prove potenzialmente favorevoli al cane a sei zampe - secondo il magistrato dalle intercettazioni telefoniche emergeva la falsità delle tesi di Armanna contro i vertici di Eni, accuse poi ritrattate - nel noto procedimento per corruzione internazionale, poi conclusosi con un'assoluzione collettiva. Ma mise a disposizione la sua esperienza da magistrato, spiegando ai colleghi che Vincenzo Armanna imputato e grande accusatore nel processo Eni-Nigeria - non era attendibile. Non bastò. Spiega Storari che nei suoi confronti la procura ebbe un «atteggiamento protettivo». Per il solo motivo che la sua deposizione era considerata cruciale nella tesi della procura. «Quando gli dissi nel suo ufficio che stava emergendo che Armanna e Amara erano due calunniatori sottolinea il magistrato - De Pasquale replicò che stavo creando un clima sfavorevole al processo, che lo volevo boicottare». È bene ricordare che Storari si era fatto un'idea di Armanna, avendolo incontrato nell'inchiesta sul cosiddetto falso complotto, di cui era titolare con l'aggiunta Laura Pedio. «Non avevo difficoltà di rapporti con De Pasquale - continua - ma vi è sempre stato un suo atteggiamento protettivo nei confronti di Armanna dichiarante». Sul finale, la sua deposizione è ancora più chiara. «Magari mi sbaglio ma ho avuto la sensazione che anche se gli avessi portato la pistola fumante» non venissi creduto, aggiunge il teste, e le risposte vaghe si infrangono su un presunto coinvolgimento dei «servizi segreti».
Storari ha parlato delle divergenze sulla linea da tenere di fronte alle dichiarazioni rese da Piero Amara che aveva adombrato un presunto avvicinamento da parte dei legali di Eni, Paola Severino e Nerio Diodà, al giudice Marco Tremolada e che renderà testimonianza a gennaio.
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