Bomba sui pm italiani. La Corte europea limita l'utilizzo delle intercettazioni: solo per reati gravi

La decisione rischia di riaprire il caso Palamara: per i giudici Ue anche le chat e altri dati elettronici vanno acquisiti in casi straordinari. E soltanto il giudice terzo può limitare la privacy dei cittadini

Bomba sui pm italiani. La Corte europea limita l'utilizzo delle intercettazioni: solo per reati gravi

C'è voluta l'ostinazione di un cittadino estone, il signor H.K., accusato di avere fatto shopping con la carta di credito altrui, per fare piombare in Italia una sentenza che riapre molti scenari: fin da subito nel «caso Palamara», ma poi nella miriade di processi famosi od oscuri in cui hanno un ruolo cruciale le intercettazioni e le incursioni informatiche della giustizia nei telefoni degli indagati. Nel caso Palamara, a saltare potrebbero essere per prime le sanzioni disciplinari: la radiazione dalla magistratura già decisa contro Luca Palamara, e i procedimenti ancora aperti contro il folto plotone di suoi colleghi che compaiono nelle chat insieme all'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati.

Perché la Corte di giustizia europea, accogliendo il ricorso di H.K., stabilisce due criteri fondamentali: che violare la privacy delle comunicazioni è lecito solo se si indaga su reati particolarmente gravi; e che a disporre le intrusioni non può essere il pubblico ministero, ma serve un giudice. Ciò che nel caso Palamara, come in migliaia di altri casi, non è accaduto.

La sentenza della corte lussemburghese, depositata pochi giorni fa, stabilisce che l'accesso da parte della giustizia a sia lecito accedere su telefoni e computer a dati in grado di «permettere di trarre precise conclusioni sulla vita privata, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati» sia lecito solo se si tratta di indagini «aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica». Viene colpita dunque la possibilità di utilizzare intercettazioni pescate in altri procedimenti o per altri reati più gravi colpendo a strascico e a casaccio.

Ma se questa possibilità in Italia è già almeno in parte limitata, la svolta vera portata dalla sentenza del 2 marzo riguarda la domanda: chi può impadronirsi del contenuto delle comunicazioni? La risposta della Corte è netta: la violazione della privacy non può essere disposta da un pubblico ministero ma da «un «giudice o un'entità in grado di garantire un giusto equilibrio tra le necessità dell'indagine contro la criminalità e i diritti fondamentali al rispetto della vita privata».

È esattamente il contrario di quanto è accaduto nelle indagini su Palamara e sul marcio nel Consiglio superiore della magistratura. Mentre le intercettazioni in presa diretta e l'uso del trojan sono state autorizzate - come prevede il codice italiano - da un giudice preliminare, il piatto più ghiotto dell'inchiesta, ovvero le chat scambiate da Palamara con i colleghi, è stato imbastito dalla Guardia di finanza prelevando i dati contenuti nello smartphone sequestrato a Palamara stesso. Il prelievo, la cosiddetta forensic, è stato realizzato su ordine della Procura di Perugia, senza nessun controllo esterno. E il fatto che il pm sia convinto di avere ragione «non può essere sufficiente per conferirgli lo status di terzo rispetto agli interessi in gioco», dice la sentenza depositata sul sito della Corte.

Rischia di saltare, dunque, l'utilizzabilità delle chat nel processo penale in corso contro Palamara e i suoi coimputati. Nello stesso processo rischiano di dover essere esclusi anche i contenuti del trojan, compresa la riunione all'Hotel Champagne in cui si decise la nomina del nuovo procuratore di Roma, a meno che anche queste manovre non vengano fatte ricadere nelle «forme gravi di criminalità» o le «gravi minacce alla sicurezza pubblica» di cui parla la sentenza della Corte europea. Ma i primi a saltare saranno i procedimenti disciplinari aperti dalla procura generale della Cassazione contro i ventisette magistrati più pesantemente chiamati in causa dalle chat con Palamara. Chat inutilizzabili, per entrambi i motivi indicati dalla sentenza.

E nel ricorso in Cassazione contro il provvedimento con cui il Consiglio superiore della magistratura lo ha ridotto allo stato laicale, la svolta prodotta dal ricorso di H.K. diverrà il nuovo argomento di Luca Palamara per vedersi restituire la toga.

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