«Silenziare i migranti» e «stigmatizzazione del migrante come criminale». Con questi termini le toghe rosse inquadrano il nuovo emendamento, ora in Senato, contenuto nel ddl sicurezza che mira a un «rafforzamento della sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti».
Si parla dell'art. 27 del disegno di legge 1236 che dovrebbe regolamentare le rivolte dei migranti nei cpr. «Chi partecipa a una rivolta è punito con la reclusione», si legge nel documento. «Costituiscono atti di resistenza anche le condotte di resistenza passiva che impediscono il compimento degli atti d'ufficio o del servizio necessario alla gestione dell'ordine della sicurezza». Insomma, i migranti che organizzano o partecipano a rivolte contro le forze dell'ordine pagheranno con pene che vanno dai 6 mesi ai 30 anni a seconda della gravità degli atti commessi.
Sembrerebbero semplici regole di ordine pubblico in un contesto, quello dei cpr, dove le rivolte sono all'ordine del giorno. Regole che a Magistratura democratica non piacciono in quanto i migranti avrebbero il «diritto alla rivolta». A spiegarlo è la dottoranda di ricerca Marilù Porchia che ha pubblicato su «Questione Giustizia», la rivista di Md, un'analisi.
«La norma apre la strada alla punizione del dissenso» e «il delitto che si propone di introdurre nell'ordinamento appare... sterilmente simbolico», si legge nel trattato. Secondo i giudici pro migranti, il governo starebbe emanando l'ennesimo diktat contro i migranti nei cpr che, secondo la teoria di Porchia, avrebbero il diritto di ribellarsi soprattutto in caso di decisione di respingimento verso il paese di origine. Al centro della polemica, ancora una volta, le forze dell'ordine al quale il nuovo disegno di legge farebbe un favore attraverso un «malcelato tentativo di autorizzazione dell'esercizio all'uso della forza da parte del personale di sicurezza nei centri nei confronti dei migranti». Ma c'è di più, polizia ed esercito - che operano nei centri - sarebbero coinvolti, grazie al ddl, in un meccanismo architettato contro gli stranieri tanto che - si legge nel documento sponsorizzato da Md - «sembra quasi si auspichi un coinvolgimento del migrante che non delinque in una rivolta per farlo entrare nel circuito penale». Il tutto giustificato da una mancanza di diritti per coloro che si trovano in cpr in quanto essi, a causa della mancanza di mediatori linguistici, possono non essere «consapevoli di stare andando incontro a conseguenze penali per il rifiuto di ottenere un ordine» e quindi verrebbero «mortificati della loro dignità». E questa tesi si configura perfettamente nella procedura di rimpatrio e nelle azioni violente che spesso ne susseguono. Ma per Md è «normale» perché «la resistenza dello straniero è fisiologica all'esecuzione del rimpatrio». Un capitolo intero è poi dedicato alla questione Albania: stessi concetti ma amplificati in quanto «la procedura loro applicata sarà difforme da quella in Italia e le tutele garantite minori». In primis perché «i colloqui del difensore con l'imputato in custodia cautelare avverranno mediante collegamento audiovisivo, e lo straniero parteciperà a distanza anche all'eventuale udienza di convalida di impugnazione della misura cautelare». Chi sbaglia paga, ma non i migranti difesi da Md: questo sembrerebbe l'assunto finale.
Una disamina che a tratti sembrerebbe surreale ma che nasconde, ancora una volta, la pericolosità della politicizzazione della magistratura che questa volta inchioda il governo colpevolizzando di una «raccolta di consenso politico a mezzo della criminalizzazione della marginalità».
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