Delivery, mini-pasti e concorrenti low cost. Fallisce Tupperware (e si chiude un'era)

Maxi-buco da 10 miliardi per lo storico marchio di contenitori. In crisi da anni per il cambio di abitudini di famiglie e single

Delivery, mini-pasti e concorrenti low cost. Fallisce Tupperware (e si chiude un'era)
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All'inizio fu la «ciotola meraviglia» col «tappo a stappo»: lì dentro ci si è stipata una fetta di storia che va dalla ripresa economica dopo gli anni Quaranta all'evoluzione della donna. La «ciotola» fu il primo brevetto che depositò il chimico Earl Silas Tupper nel 1946. Ebbe la geniale intuizione mentre creava stampi in una fabbrica di materie plastiche. Capì che la svolta, per andare incontro alle casalinghe di tutto il mondo, sarebbe stata proprio quella di riuscire a progettare una chiusura ermetica per le «scatole» di plastica. Subito dopo la Grande Depressione la gente aveva bisogno di poter conservare i cibi avanzati e, di conseguenza, di non sprecare denaro. Creò il Tupperware che ancora oggi, per estensione, serve ad indicare tutti i contenitori ermetici per alimenti. Realizzato in polietilene (materiale all'epoca introvabile) iniziò a riempire gli scaffali dei negozi dove, però, tristemente rimase. Come ogni prodotto rivoluzionario, aveva bisogno di essere illustrato, raccontato, «spiegato», ma il marketing era stato completamente inefficace, per non dire inesistente e, nel 1951, i Tupperware vennero ritirati dal mercato.

La svolta arrivò grazie a una donna: Brownie Wise, un'ex rappresentante della Stanley Home Products che iniziò a «raccontare» la magica scatoletta alla clientela della Stanley. Da lì partì la vendita diretta dei Tupperware e il suo irrefrenabile successo. Il commercio venne affidato a un organizzatissimo circuito di rappresentanti selezionate e questo segnò anche il prepotente ingresso della donna nel mondo del lavoro (era un impiego gestibile, decoroso, sicuro) durante la Seconda guerra mondiale, quando cioè era indispensabile reperire nuova forza lavoro. Iniziò la moda dei Tupperware party con signore aspiranti «adepte» che radunavano amiche e conoscenti all'ora del tè per la dimostrazione e la vendita del rivoluzionario prodotto. Si trattò di un successo planetario che durò anni. Tanto che nel 1996 la Tupperware Brands Corporation si quotò alla Borsa di New York. È arrivando ai giorni nostri che la parabola della «ciotola meraviglia» inizia il suo declino. Con l'avvento di contenitori concorrenti di qualità inferiore ma a prezzi più bassi, con le abitudini rivoluzionate da una vita completamente diversa rispetto a quegli anni, con le famiglie che consumano i propri pasti fuori casa o se li fanno addirittura consegnare a casa già pronti, con i grandi supermercati che si sono adeguati a sfornare monoporzioni per single o impiegati in pausa pranzo. Solo nel 2017 l'azienda contava ancora oltre tre milioni di «ambasciatori» in tutto il mondo.

Ma dal 2020 i conti hanno iniziato a non quadrare più e nel 2022 il fatturato è sceso del quarantadue per cento rispetto a cinque anni prima: vale a dire a 1,3 miliardi di dollari.

Ieri il triste annuncio dal Ceo della multinazionale americana, Laurie Ann Goldman: «Abbiamo avviato la procedura fallimentare». La ciotola si richiude dopo settantotto anni di una storia meravigliosa.

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