Non era solo una storia banale di acquisti disinvolti, di regali accettati senza sottilizzare. Per la Procura di Napoli la storia dei libri antichi spariti dalla Biblioteca dei Girolamini e approdati nella Biblioteca di Marcello Dell'Utri era ben di più, il punto di approdo di una trama micidiale: Dell'Utri, notoriamente cultore quasi maniacale di libri antichi ed incunaboli, che organizza dietro le quinte la nomina da parte del governo di un suo amico alla guida di una delle raccolte più importanti d'Italia, con il preciso obiettivo di saccheggiarne la biblioteca. Dell'Utri, dicevano i pm, ordina: e il ministro Galan esegue.
Non era vero niente. Il caso della Biblioteca dei Girolamini si azzera come un libro cui il vento abbia strappato via tutte le pagine. Ieri il tribunale di Napoli, dopo cinque anni di inchiesta e di processo, assolve «perché il fatto non sussiste» Dell'Utri dall'accusa di peculato. Che la biblioteca napoletana sia stata svuotata dei suoi tesori non ci sono dubbi, libri vecchi di secoli sono svaniti nel nulla o riapparsi dall'altra parte del globo, e persino uno dei librai più famosi d'Europa, Herbert Schauer, è stato condannato per i suoi affari con Napoli. Ma Dell'Utri, dice la sentenza, non c'entra niente. Tutto ruotava intorno al genio e alla sregolatezza di Marino Massimo De Caro, direttore dei Girolamini, uno in grado di produrre in proprio e di vendere per mezzo milione in America un falso perfetto del Siderus Nuncius di Galileo Galilei, completo di acquerelli dello scienziato pisano. Che Dell'Utri conoscesse De Caro da anni, che da lui avesse comprato molti libri e altri ne avesse ricevuto in regalo, non c'è dubbio. Ma i tredici libri della Girolamini arrivati alla Biblioteca di via Senato, creatura e regno di Dell'Utri, nessuno sapeva che venissero da un furto. Al punto che Dell'Utri li fa catalogare senza trucchi, «donazione di Marino Massimo De Caro». Un modo un po' singolare di nascondere la provenienza furtiva, se Dell'Utri l'avesse conosciuta.
Il caso dei Girolamini piomba addosso a Dell'Utri nel 2012, quando l'allora senatore azzurro è in attesa del processo d'appello per concorso esterno nella mafia, e quindi qualunque accusa gli può essere rifilata senza problemi. A Napoli si è scopre lo svuotamento dei Girolamini, De Caro viene incriminato e poi condannato. I pm trovano una intercettazione tra lui e Dell'Utri, «io barattavo - dice De Caro - due prime edizioni di Vico, se le mancano, per due inviti a pranzo»: «anche tre», risponde Dell'Utri. Che i libri di Vico vengano dai Girolamini non lo dice nessuno dei due, ma il Senato autorizza ugualmente l'utilizzo delle intercettazioni contro Dell'Utri che nel frattempo è stato condannato per concorso esterno ed è finito in carcere. Si muove anche la Procura di Milano che manda i carabinieri in via Senato, impacchetta quarantamila libri, li fa analizzare uno per uno. Ma scopre che neanche uno viene dai Girolamini, così l'indagine annunciata in gran spolvero finisce in archivio.
Va avanti, invece, l'indagine napoletana contro quello che il procuratore Colangelo definisce «un brutale saccheggio», Dell'Utri viene portato a processo, la Procura chiede per lui sette anni di carcere. Ma la sentenza di ieri smonta tutto.
Eppure
lui, Marcello Dell'Utri, non viene l'istinto di festeggiare. «Un brodino per un malato che si ostina a credere nella giustizia», definisce la sentenza. E torna a rifugiarsi «tra i miei libri, che mi hanno salvato la vita».
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