La denuncia di Cantone «L'antimafia? Attenti a chi ne fa un business»

Il numero uno dell'Anticorruzione attacca i «paladini»: usano il brand a fini personali

La denuncia di Cantone «L'antimafia? Attenti  a chi ne fa un business»

Nell'aula del Senato il nuovo codice Antimafia doveva arrivare al voto, che invece slitta ad oggi. Raffaele Cantone ha aperto il vaso di Pandora delle critiche al provvedimento e si profila un mascherato dietrofront. Fi e Fdi chiedono il ritorno in commissione della riforma, ma per il presidente Pietro Grasso non è possibile, il M5s vuole bloccarla, la Lega frena, ma il presidente del Pd Matteo Orfini spiega su Twitter come finirà: «Le sollecitazioni di Cantone meritano di essere approfondite. Lo faremo appena tornerà alla Camera».

Il presidente dell'Anac sembra aver raggiunto il suo obiettivo. «Sono contento di queste aperture - commenta al Giornale- . Io pongo dei problemi da risolvere, ma ho grande rispetto per il Parlamento, non voglio interferire, né rivendico di dire verità assolute». Cantone domani presenterà la relazione annuale dell'Anac e anticipa che «ci sono piccoli segnali positivi, ma le difficoltà sono tante e i tempi lunghi». In mattinata, all'università di Palermo, precisa: «Rivedere il codice antimafia è necessario, per rafforzare i criteri per il sequestro dei beni, soprattutto per una gestione più efficiente dello Stato». E aggiunge: «Bisogna abbattere il totem che ne impedisce la vendita, nel timore che i boss li riacquistino». Attacca i «paladini dell'Antimafia», che usano il «brand per fini personali» (vedi recenti casi giudiziari di rappresentanti di associazioni contro Cosa nostra), perché «fanno gravi danni alla vera Antimafia, quella sociale».

Quello che Cantone contesta duramente è l'estensione della normativa antimafia all'anticorruzione, specie per il sequestro preventivo dei beni. Le sue perplessità per una riforma che può essere «dannosa» sono condivise da magistrati e penalisti (il 18 scioperano), da giuristi come Fiandaca e Cassese, ieri dall'ex presidente della Consulta Flick, che avverte: «Il legislatore ha scelto di normalizzare l'emergenza e certi automatismi producono assurdità».

Cantone ricorda al Giornale che «ci sono sempre state perplessità sull'impianto non particolarmente garantista delle norme antimafia, ma sono state superate valutando la gravità ed eccezionalità del fenomeno: le misure di prevenzione sono indispensabili per combatterlo, anche per la particolare tipologia dell'accumulo dei patrimoni da parte dei boss». Questi strumenti, però, non possono essere «esportati tout court al sistema della corruzione, che ha caratteristiche anche sociologicamente diverse». È vero, ragiona il numero uno dell'Anac, che le mafie spesso utilizzano la corruzione, «ma non c'è bisogno di nuove norme perché in questi casi le misure di prevenzione si possono già applicare». E applicare i sequestri preventivi ai casi di corruzione non mafiosa «può provocare un vulnus nei principi costituzionali, esponendoci a censure». Pensa alla Consulta, ma pure alla Corte di Strasburgo, come sostengono illustri giuristi. «E poi - sottolinea Cantone - è già possibile la confisca preventiva dei beni per corruzione, quando è provato che si tratti di una condotta abituale, basti pensare al processo della Cricca degli appalti». Quella dell'ex presidente del Consiglio dei Lavori pubblici Balducci: nel 2014 furono sequestrati beni per 13 milioni di euro, prima della condanna definitiva dell'anno scorso, con la confisca di proprietà per 9 milioni.

Per il Procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti il testo è «equilibrato» se si prevede la partecipazione ad associazione per delinquere, ma Cantone dice no. «Questa - spiega - è la prova provata dei dubbi sull'estensione delle norme ai reati contro la Pa.

La proposta di Roberti ha un senso, ma non è sufficiente, parliamo di indizi, non di prove. Paradossalmente, impedirebbe l'applicazione delle misure preventive a chi è abitualmente corrotto ma non fa parte di associazioni».

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