Alla luce tenue del tramonto dell'ultimo giorno d'ottobre 1917, le lenti di un periscopio da trincea turco che ispezionava l'orizzonte di Beersheva, a trenta chilometri a est di Gaza, si concentrarono tutte sulla nuvola di polvere che si alzava copiosa e inspiegabile dalla terra.
Sono cavalli. Ottocento purosangue australiani di razza Waler dal manto baio scuro disposti su tre lunghe file in rapida avanzata. Sono cavalli da tiro leggero, coraggiosi d’indole e buoni saltatori di nomea, o almeno così si dice, che avanzavano al mezzo trotto, con i crini scossi dal vento. In sella ci sono giovani cavalieri australiani della 4ª Brigata di Cavalleria, o "fanteria montata a cavallo", che hanno attraversato l'Oceano Indiano per esibire al vento le piume di emù che fregiano i loro copricapi d’ordinanza, gli Slouch, in una terra tanto distante quanto simile al loro Gran Deserto Sabbioso. Una terra che un tempo era nota come Palestina, posta sotto il dominio dell'Impero Ottomano di Mehmed V, il sultano.
Al tendersi di un braccio, gli ottocento cavalli australiani ricevono l'ordine di passare al trotto. Gli zoccoli pesanti fendono una terra chiara e accidentata, la nuvola di polvere s'ingrossa e gli si para dietro a fatica mentre si dirigono su Beersheva. È allora che vengono individuati e, dal perimetro difensivo turco, echeggia l’ordine di aprire il fuoco. Le bordate delle batterie di cannoni posti a difesa della città fanno fischiare le orecchie e i colpi ricadono sparsi sul campo, abbattendosi sulle file di cavalli e cavalieri. Ogni volta che i cannoni lanciano una bordata, zolle di terra incandescente vengono sollevate dalla potenza della scarica del colpo.
Soltanto allora, quando la brigata è alla portata, arriva l'ordine di caricare. Gli stivali colpiscono lo sterno di quei fasci di muscoli scuri che i cavalieri accudiscono con un attaccamento paterno da anni. Le briglie sono tese e le baionette sguainate. Risplendono al sole fioco come le sciabole degli inglesi al mattino della battaglia di Waterloo.
La carica di Beersheva, manovra condotta dagli australiani nel contesto della più ampia offensiva britannica nota come la Terza battaglia di Gaza, è entrata nella storia come una delle ultime cariche di cavalleria efficaci. Consentì alla 4ª Horse Brigate australiana di conquistare la città fortificata che, secondo le informazioni ottenute dal Palestine Exploration Fund, custodiva i pozzi e le riserve d’acqua indispensabili per la sopravvivenza della spedizione militare britannica nel Vicino Oriente. Ma non sarebbe stata realizzabile e altrettanto efficace, come spesso accade, se non fosse stata preceduta da un'azione di spionaggio e da un "diversivo" altrettanto efficace.
Il colonnello Meinertzhagen e l'inganno del tascapane
Svariate manovre furono quindi messe in atto per ingannare il nemico e convincerlo che l’attacco sarebbe stato sferrato, ancora una volta, a Gaza. Evitando il rinforzo della guarnigione di Beersheva, e lasciando che il grosso della forza turca dislocata nell’area si concentrasse altrove. Beersheva era difesa da una fitta rete di trincee, postazioni di mitragliatrici, muri di sacchetti di sabbia e filo spinato che coprivano gran parte del perimetro della città e offrivano ottime posizioni di tiro. Tranne i versanti esposti a est e a sud, entrambi affacciati su un vasto spazio vuoto che avrebbe reso fatale a qualsiasi avanzata della fanteria nemica.
Per conquistare Beersheva e la sua acqua era necessaria una strategia ben congegnata, basata sull'inganno e sulla rapidità d'esecuzione. A metterla a punto sarà un ufficiale della neonata intelligence britannica che si avvalse nel per altro della particolare collaborazione del Nili, la rete di spionaggio ebraica.
Il colonnello Meinertzhagen, questo il nome dell'ufficiale del servizio segreto britannico, escogitò lo stratagemma del "Haversack Ruse", basato sulla messa in scena di un ufficiale dello stato maggiore britannico che, braccato dal nemico nel corso di una falsa missione di ricognizione, avrebbe lasciato cadere un tascapane dov'erano stati nascosti alcuni documenti segreti appositamente creati per fuorviare il nemico. L'inganno comprendeva il confezionamento di lettere private, un telegramma che riportava un semplice pattugliamento nel settore di Bersheva e una mappa che segnava Gaza come "obiettivo" delle prossime manovre. Ma, soprattutto, un cifrario per decrittografare dei falsi messaggi segreti degli inglesi. La credibilità dell'inganno, che verrà riproposto in futuro nella famosa operazione Mincemeat, fu affidata a quelle che nel gergo spionistico venivano chiamate "cianfrusaglie da portafogli": oggetti personali come lettere, fotografie e particolari che rendessero credibile il bottino.
Sarà lo stesso Meinertzhagen a interpretare la parte ed esporsi al fuoco dei turchi. Durante la sua rapida fuga, lascia cadere fucile, borraccia e "tascapane", e per rendere la scena ancora più realistica, aggiungerà anche del sangue di cavallo per imbrattare il tutto. Questo, le false informazioni relative a una spia turca che giocava doppio doppiogiochista e i falsi messaggi decifrati in seguito con i codici celati nel tascapane bastarono a convincere il generale tedesco Kress von Kressenstein, comandante delle forze turche, che l'obiettivo era Gaza e che non c'era alcuna ragione di preoccuparsi del fronte di Beersheva. A confermare la trama di questi fatti sarà anni dopo un altro famoso agente segreto e sovversivo britannico, un certo T.E. Lawrence. Più noto, forse, come Lawrence d'Arabia.
La storica vittoria australiana
Beersheva era un obiettivo tanto complesso quanto necessario. Difeso come detto da migliaia di fucilieri turchi attestati nella fitta rete di trincee difensive dotate di numerosi nidi di mitragliatrici e da un numero imprecisato di cannoni da campagna con il supporto di due biplani di fabbricazione tedesca che potevano sganciare bombe aeronautiche. Per questo l'ultimo "tocco" alla strategia prima di lanciare all'attacco la temeraria cavalleria australiana - comprimaria artefice del successo - vide il "bombardamento" delle trincee turche con pacchetti di sigarette di cui la guarnigione era a corto. A promessa di un trattamento privilegiato in caso di resa. Sigarette confezionate sapientemente con una mistura di tabacco e oppio per rallentare la reazione dei difensori durante l'attacco.
Tutto il resto spetterà alla feroce carica nello spazio vuoto che separava le colline dalle trincee di Beersheva che vide i Lighthorsemen galoppare all’impazzata gridando e volteggiando le baionette sulla testa mentre affrontavano il fuoco di sbarramento turco. Quando l’alzo dei cannoni turchi raggiunse l'alzo zero, rendendoli inservibili contro l'attacco, i fucilieri infilarono nelle trincee sperando di frenare la carica con delle raffiche ben mirate. Ma i cavalli australiani si dimostrarono coraggiosi come i loro cavalieri, saltando l’ostacolo e procedendo sull'obiettivo mentre i turchi si davano alla fuga in ogni direzione.
Il successo della carica fu un colpo durissimo per l'alto comando tedesco e turco, e il risultato dell'attacco fu strabiliante. I pozzi e le scorte d'acqua rimasero intatti. Quasi duemila soldati turchi vennero fatti prigionieri, proprio come nella battagli battaglia di Aqaba.
La cattura di Beersheva permise alla spedizione militare dell’Impero Britannico di rompere le linee ottomane nei pressi di Gaza per poi avanzare alla volta della Palestina. Sul campo caddero appena trenta tra cavalli e cavalieri. Eroi di cui nella lontana l'Australia si cantano ancora le gesta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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