Si chiamava Victor. L'incontrai nel novembre 2002 a Dondo, nel Nord del Mozambico. Durante la guerra civile degli anni '80 tra il governo filosovietico della Frelimo e i guerriglieri anti comunisti della Renamo era stato maggiore dell'esercito. Smessi gradi e divisa si guadagnava da vivere come responsabile della sicurezza della Gmc, una cooperativa rossa di Ravenna presente da decenni nel paese. Ero arrivato lì con il collega Franco Nerozzi e Giancarlo Coccia, storico corrispondente africano de il Giornale per cercare la tomba dell'amico Almerigo Grilz freddato da un colpo alla nuca il 19 maggio 1987 mentre filmava uno scontro tra Renamo e soldati del Frelimo. Bivaccavamo in quel campo grazie alla generosità di Claudio Conficoni, il manager, ex Pci, responsabile locale della Cmc. «Prendete auto e uomini che vi servono... fate come a casa vostra» ripeteva. E mi rideva in faccia se ricordavo che Almerigo Grilz era diventato giornalista dopo esser stato vice-segretario nazionale del Fronte della Gioventù al fianco di Gianfranco Fini. «Ora è morto sbottava - e se anche è stato "fassista" era prima di tutto italiano. Questo è quello che conta».
L'albero di Almerigo from gliocchidellaguerra on Vimeo.
Victor ascoltava silenzioso. Non spiaccicò mezza parola nemmeno quando arrivammo a Caia. Ma quando incominciai a studiare il terreno per capire dove Almerigo era stato colpito fu lui a portarmi nella radura ai margini della città, non lontano da uno zuccherificio. «Di solito disse i ribelli arrivavano da qua». Guardai l'ultimo filmato di Almerigo, le ultime immagini della sua cinepresa. Tutto corrispondeva. Victor sorrise. E fu lui, nonostante il pericolo, ad accompagnarmi a Gorongoza, la zona dove a 10 anni dalla fine delle ostilità la Renamo nascondeva ancora le armi. La zona dove i ribelli avevano sotterrato il cadavere di Almerigo dopo una lunga ritirata notturna. Lì all'imbrunire del 21 novembre 2002 trovammo il grande albero di Muthongo sotto cui riposava. Allora Victor m'abbracciò e mi sussurrò parole mai dimenticate. «Ero il comandante di Caia, forse c'ero pure io a sparare al tuo amico, ma ci tenevo ad aiutarti perché la guerra è finita e a nessuno interessa più se un giornalista stava con noi o con i nostri nemici. I morti sono tutti fratelli».
Non qui in Italia. A Trieste l'Ordine dei Giornalisti, a cui Grilz era iscritto, ignora da 30 anni la richiesta d'accogliere una lapide con il suo nome accanto a quelle per l'inviato Rai Marco Luchetta e gli operatori Alessandro Ota, Dario D'Angelo e Miran Hrovatin, morti tra Bosnia e Somalia. Fuori da Trieste non va meglio. Grilz oltre ad aver raccontato guerre e guerriglie tra Afghanistan, Libano, Etiopia, Mozambico, Filippine, Cambogia e Birmania scriveva per il Sunday Times e firmava reportage trasmessi da Cbs ed Nbc negli Stati Uniti, da Channel4 in Inghilterra e dal Tg1 Rai qui in Italia. Eppure nonostante quel curriculum, nonostante sia stato il primo caduto su un campo di battaglia dal 1945 Almerigo Grilz continua ad essere un «inviato ignoto» per gran parte dei giornalisti italiani. Una damnatio memoriae sconcertante per una categoria che annovera con orgoglio colleghi come Adriano Sofri, condannato per l'omicidio Calabresi, Bernardo Valli, orgoglioso dei 5 anni trascorsi nella Legione Straniera e una legione di reduci della sinistra extraparlamentare come, Paolo Mieli, Toni Capuozzo, Enrico Deaglio, Lucia Annunziata, Gad Lerner, Paolo Liguori, Andrea Marcenaro, Carlo Panella, Riccardo Barenghi e Lanfranco Pace. Ma i giornalisti si consolino. A destra non è andata meglio. Fini a Trieste pernottava regolarmente nella casa di Almerigo, ma una volta divenuto presidente della Camera, si è ben guardato dal muovere mezzo dito per sottrarre l'amico all'oblio collettivo.
Poco importa. Di una vita conta la storia. La storia di un ragazzo che, unico tra le fila di una destra sclerotizzata, comprendeva, già negli anni '70, l'importanza dell'informazione e imbracciava macchine fotografiche e cineprese anche quando guidava cortei e manifestazioni.
La storia di un giornalista che seppe trasformare la passione politica in passione professionale. La storia di un uomo che, non appena la politica smise di regalargli emozioni, l'abbandonò per trasferirsi sulle prime linee del mondo. Perché se il giornalismo era la sua passione, l'avventura era la sua vita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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