
«È urgente e imprescindibile il ritorno al testo originario dell'articolo 68 della Costituzione, perché l'eliminazione dell'immunità parlamentare sull'onda emotiva di Tangentopoli, è all'origine del conflitto istituzionale lungo oltre trent'anni tra politica e magistratura». Eugenio Rubolino, sostituto procuratore generale presso la Corte d'Appello di Roma, rompe il silenzio delle toghe attorno al riaprirsi del dibattito sulla modifica dell'immunità parlamentare negli anni di Mani Pulite.
Per lei, dunque, la correzione dell'articolo 68 è la madre di tutti gli errori nel campo della giustizia?
«Io parlo a titolo personale, naturalmente. Se non fosse stata cancellata 30 anni fa l'immunità parlamentare non saremmo arrivati a questo duro scontro, a questo clima infuocato, alla delegittimazione della magistratura. Soprattutto, non ci sarebbero stati degli interventi legislativi, legittimi certamente, che hanno in parte stravolto il codice penale e di procedura penale, per ritrovare l'equilibrio tra poteri scardinato quel 28 ottobre del 1993».
Il caso Almasri, con l'indagine del Tribunale dei ministri sulla premier Meloni, il sottosegretario Mantovano e i ministri Nordio e Piantedosi, avrebbe un corso differente?
«Non ritengo opportuno parlare di casi in corso, tra l'altro particolarmente delicati».
Lei è un pm, ci si potrebbe aspettare la tesi contraria.
«No, proprio per questo sono convinto. Preferisco non fare indagini che correre il rischio di essere sempre sospettato di avere finalità non istituzionali. Questo toglie dignità al mio lavoro. Il vero danno è alla collettività, perché le continue denigrazioni dell'operato della magistratura inducono il cittadino a non riconoscere la sua autorevolezza, a contestare indagini e sentenze».
A quali interventi legislativi causati dalla mancanza dell'immunità si riferisce?
«Ci tengo a premettere che per me il Parlamento è sovrano, ma il vulnus' creato dal venir meno dello scudo parlamentare ha indotto, quasi costretto, il Parlamento a intervenire per cercare di arginare le iniziative della magistratura requirente. Le cosiddette leggi ad personam' nascono per questo. La legge Cirami del 2002, per la remissione dei processi per legittimo sospetto che il magistrato agisca per finalità diverse da quelle istituzionali. La exCirielli del 2005, poi disconosciuta dal primo firmatario, detta anche salva-Previti perché dopo la condanna del parlamentare introduce la detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni. La legge Pecorella del 2006, per ridimensionare la figura del pm, riducendo drasticamente la possibilità d'impugnare le sentenze di proscioglimento, poi dichiarata incostituzionale in nome della parità delle armi tra accusa e difesa. Ma ce ne sono tante altre».
Anche lo scontro sulla separazione delle carriere è figlio di questo vulnus originario?
«Direi di sì. La riforma per me non crea nessun problema, se si volesse arrivare alla soggezione del pm all'esecutivo sarebbe gravissimo ma allo stato non vedo questo pericolo per autonomia e indipendenza garantite dall'articolo 104 della Costituzione e non in discussione».
Ha partecipato alle contestazioni
all'inaugurazione dell'anno giudiziario?«Non ho ritenuto di manifestare e tantomeno con la Costituzione in mano. È la nostra legge fondamentale, ma non è immodificabile, infatti la Carta prevede un rigoroso iter per questo».
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