Makariv. I militari ucraini spuntano dal nulla con le armi spianate e sbalorditi che una macchina di giornalisti sia arrivata fino alle porte dell'inferno. All'ingresso di Makariv, la città che i russi vogliono a tutti i costi tenere dopo averla in parte conquistata, i soldati sono ben nascosti nelle trincee. Un sergente di ferro corre trafelato verso di noi: «Il combattimento è furioso. Se andate avanti siete morti». Una colonna di fumo nero dei bombardamenti si alza poco più avanti in mezzo alle case. Cinque minuti prima abbiamo incrociato una macchina piena di soldati che sembravano zombie. Il sergente, quando scopre da dove veniamo, accenna addirittura a un sorriso: «Ho due sorelle che lavorano in Italia. Dovete tornare indietro per mettervi al riparo. Da un momento all'altro ci aspettiamo un attacco aereo».
La periferia di Makariv è tenuta con le unghie e con i denti dalle forze ucraine, ma i russi sono dentro la città. Per loro è un obiettivo strategico: conquistarla significa tagliare in due l'autostrada che collega Kiev a Leopoli, la vena giugulare della resistenza. Sulla E40 passano le armi e i rifornimenti per la capitale. I russi sono già riusciti a interrompere un ampio tratto costringendo i camion a un lungo giro. Makariv si trova 67 chilometri ad ovest di Kiev, quasi tutti in mano del nemico fino a Stojanka, l'ultimo caposaldo ucraino, completamente distrutto, a ridosso della capitale. Per avvicinarci abbiamo dovuto spostarci a sud e rientrare sull'autostrada a ovest di Makariv.
Le corsie sono deserte, ma disseminate di automobili crivellate di colpi o carcasse di mezzi militari. Un carro armato ha preso fuoco rimanendo spiaccicato sul guardrail. Dopo essere stati mandati indietro dal sergente arriviamo alla prima linea sull'autostrada, dove spicca un monumento in stile sovietico con la scritta Makariv. Un autobus giallo è messo di traverso su una corsia come una barricata. I soldati sono piazzati nelle trincee e un blindato ucraino passa veloce. Un ufficiale con il volto segnato dalla guerra ci allerta: «Oltre il cavalcavia ci sono i russi: carri armati e cecchini. Non mettetevi sulla loro linea di tiro». Davanti abbiamo dei ruderi che ci proteggono, ma subito dopo l'autostrada è terra di nessuno. A pochi chilometri dalla prima linea il villaggio di Byshiv è stato bombardato, a più riprese, dai caccia di Mosca. Un enorme cratere si apre in mezzo alle case polverizzate. Le automobili accartocciate in mezzo alle macerie, davanti agli scheletri delle abitazioni semplici e basse di campagna, rendono il paesaggio lunare.
«Siamo stati colpiti due volte, ma hanno centrato i civili ammazzando anche un padre con sua figlia. I soldati russi possono solo che vergognarsi di queste bombe», sbotta Veceslav Sevchenko, un paesano con 72 primavere alle spalle, che arriva in bicicletta. Un'infermiera che tenta di scappare da Makariv chiama il nostro autista e guida per pregarlo di portarla in salvo. Non riusciamo a raggiungerla perché sono ripresi i combattimenti più aspri di prima. Non solo: siamo rimasti quasi senza benzina rischiando di restare a secco davanti alle linee russe. I militari ci fanno passare per una strada sterrata costeggiata da cartelli con su scritto: mine. Alla fine troviamo un distributore che ha ancora qualche litro di carburante.
Sulla via di ritorno a Kiev incrociamo una lunga colonna di automobili piene di famiglie che stanno scappando verso ovest. Una ventina di chilometri prima della capitale un'alta e possente colonna di fumo nero continua a salire verso il cielo. I russi devono avere colpito all'alba un deposito di carburanti, che brucia ancora.
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