Le diplomazie e l'idea di una Striscia libera. Le mosse di Putin, gli Usa "chiamano" Xi

Washington guida il dialogo con i partner mediorientali. Blinken alla Cina: "Usi la sua influenza per la de-escalation". Mosca: "Incontro con Hamas in Qatar"

Le diplomazie e l'idea di una Striscia libera. Le mosse di Putin, gli Usa "chiamano" Xi
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La diplomazia di mezzo mondo si mobilita di fronte al rischio dell'allargarsi del conflitto finora sostanzialmente circoscritto a Gaza e ai suoi dintorni. Alcuni punti però rimangono fermi e costituiscono i paletti oltre i quali sarà impossibile andare: c'è la questione degli ostaggi israeliani e occidentali a condizionare la risposta militare di Netanyahu nella Striscia, quella dei palestinesi di Gaza che sono di fatto essi pure ostaggi di Hamas e che a loro volta condizionano tempi e modi dell'imminente (ormai da giorni) attacco terrestre. E soprattutto la categorica volontà di Israele di estirpare Hamas dalla Striscia, quindi di non considerare la sua azione militare una nuova operazione per punire Gaza e lasciare tutto di fatto come prima, bensì una svolta definitiva che cambierà il Medio Oriente.

Da questo conflitto non usciranno in piedi Israele e Hamas, ma solo uno di loro, verosimilmente il primo, e i diplomatici al lavoro sanno di non poter prescindere da tale verità. Ecco dunque che nelle cancellerie mondiali ci si comincia a preparare alla possibilità concreta di dover gestire una Gaza senza più Hamas.

Di questo certamente si parla a porte ben chiuse negli incontri di questi giorni tra il segretario di Stato americano Antony Blinken e i suoi interlocutori mediorientali meglio disposti: la Giordania, l'Egitto, gli Emirati Arabi e l'Arabia Saudita.

Soprattutto di quest'ultima, che ha appena annunciato la sospensione dei colloqui per la normalizzazione dei propri rapporti con Israele finché ci sarà una guerra in corso, si immagina che possa svolgere in una Gaza post Hamas un ruolo costruttivo per la creazione di un governo presentabile in vista di una pacificazione israelo-palestinese. Si tratterebbe, nelle parole di un analista israeliano, di una «normalizzazione per altra via», considerato che per Riad che pure non considera la questione palestinese una priorità assoluta nella sua visione del Medio Oriente che verrà non è comunque possibile ignorarne le ricadute sull'opinione pubblica araba e musulmana.

Intanto, però, una folla di soggetti internazionali si agita per questioni più immediate, come appunto gli ostaggi, i corridoi umanitari e la prevenzione dell'estendersi dell'incendio bellico. Ecco dunque il tour di Blinken in Medio Oriente, quello imminente del re di Giordania Abdallah in Europa, gli sforzi del presidente turco Erdogan, le chiamate in causa affinché intervengano su Hamas dell'emiro del Qatar e perfino dell'Iran e della Cina, invitata da Washington a usare la sua influenza per la de-escalation, l'impegno delle diplomazie italiana e tedesca, l'assicurazione di papa Francesco (che ieri ha nuovamente chiamato la parrocchia di Gaza) di star tentando «tutto il possibile». Si tenta, appunto, di tutto, stretti tra i paletti di cui sopra: Israele non accetterà che questa guerra finisca con i fanatici assassini di Hamas al potere a Gaza come se niente fosse.

E poi c'è la Russia. Soggetto molto attivo nella regione fin dai tempi dell'indecisione al potere di Barack Obama a Washington e strettissimo alleato della Siria e dell'Iran. Da quando Hamas ha aggredito Israele, ha cercato di mantenere un'equidistanza tra le parti che sta molto irritando Netanyahu.

Putin, che in realtà è allineato con Teheran, sembra aver capito che in questo momento per Netanyahu equidistanza significa tradire Israele. Mosca ha quindi annunciato un suo tentativo diplomatico in settimana su Hamas per sciogliere il nodo ostaggi: possibile incontro in Qatar con i vertici dei terroristi. Ma in pratica, dovrà mettersi in fila.

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