A Faenza il fiume è esondato nello stesso punto del maggio dell'anno scorso. L'acqua ha (ri)distrutto le stesse aziende che in questi 16 mesi hanno cercato di rimettere assieme i pezzi. Ma nessuno osa parlare di fatalità.
È evidente che qualcosa non ha funzionato nella gestione dei lavori se i faentini hanno dovuto improvvisare la costruzione di un muro con i blocchi di cemento (che è crollato) per difendere le loro case dal torrente (ancora) in piena. Dopo l'alluvione del 2023, L'Emilia Romagna dei paesi e dei campi si è rimboccata le maniche immediatamente, ha reagito, spalato, ricostruito.
A palazzo invece le cose sono andate a rilento: tanto che su 130 milioni di euro per le urgenze, stanziati da Roma con due ordinanze, solo 49 sono stati realmente utilizzati. E su 402 cantieri previsti per mettere in sicurezza la rete idrogeologica (per un valore di oltre 340 milioni, solo 130 (cioè uno su 4) sono stati completati. Quelli aperti sono 158, quelli in fase di progettazione 114. Ed è vero che per sistemare i letti dei fiumi e dei canali ci vuole tempo, ma nessuno si aspettava che la regione fosse così impreparata di fronte a una nuova emergenza, di minor portata. Eppure.
Del resto il «piano speciale» post alluvione 2023 è stato approvato solo a giugno: è il documento che, sulla carta, stabilisce quali aree vanno ristrutturate, come e dove intervenire per migliorare la rete fognaria e di depurazione e tutti i lavori necessari a non finire sott'acqua. E ovviamente da giugno ad oggi non è ancora stato tradotto in pratica. Tuttavia il problema non riguarda solo l'anno appena trascorso. «Negli ultimi dieci anni - calcola il ministro per la Protezione civile Nello Musumeci - l'Emilia Romagna ha ricevuto oltre mezzo miliardo. Se potesse farci sapere quanto è stato speso e ci dicesse quali sono i territori più vulnerabili ancora, noi potremmo programmare ulteriori interventi in regime ordinario. Non si può sempre chiamare in causa l'alluvione del 2023».
Se è evidente che i cantieri non possano essere aperti tutti in una volta, è tuttavia avvilente constatare che, dopo la foga post alluvione, tutte le procedure per ristrutturare siano andate a rilento. «Abbiamo chiesto quattro volte alla Regione di trasmetterci i dati sullo stato del reticolo idrografico e il dissesto di versante prima dell'alluvione 2023 - specifica il viceministro alle Infrastrutture Galeazzo Bignami - Ci sere per intervenire in maniera organica». Ma quei documenti non sono arrivati.
L'Emilia Romagna è una delle regioni più a rischio idrogeologico: l'area da allerta allagamento, secondo le mappe di Ispra pubblicate nel rapporto 2020 sul «Dissesto idrogeologico in Italia», è pari a 10.235 chilometri quadrati, il 46% di tutta la regione.
«Sappiamo che c'è un folto gruppo di pensiero che invoca continuamente la pulizia dei fiumi e dei fossi - sostiene Paride Antolini, presidente dell'Ordine dei Geologi dell'Emilia-Romagna - Ma queste soluzioni, con queste precipitazioni, sono paragonabili alle cure omeopatiche. Determinate aree vicine ai fiumi che noi geologi conosciamo benissimo sono difficilmente difendibili dalle alluvioni, ora ci vuole coraggio di fare azioni sul territorio drastiche.
Anche il privato non è esente dall'essere coinvolto nella gestione del territorio ognuno nel suo piccolo o grande che sia, specialmente in ambito agricolo dove vanno cambiate determinate pratiche». Serve una programmazione che vada oltre le casse di espansione, considerate insufficienti dai geologi. «Non basta abbassare le golene e adeguare le sezioni - sostengono gli esperti - occorre dare spazio all'acqua».
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