«Collaborazione istituzionale non significa convergenza politica», né larghe intese. Silvio Berlusconi ribadisce la posizione dialogante di Forza Italia con il governo Conte, differenziandosi ancora una volta dagli alleati Matteo Salvini e Giorgia Meloni. L'emergenza Covid, lo scontro sul Mes, più dietro le quinte anche la riforma elettorale, sono i punti sui quali si modella l'immagine di un Cavaliere che non teme di appoggiare, per il bene dell'Italia, misure dei giallorossi. Pur precisando che sempre dall'opposizione parla.
In un'intervista a La Stampa, il leader azzurro risponde all'appello del premier per un piano condiviso di rilancio del Paese, assicurando che di fronte ad un dialogo «serio e fattivo», Fi ci sarà.
D'altronde, Berlusconi rivendica di aver per primo proposto una «collaborazione istituzionale» fra maggioranza e opposizione e quella di Conte, sottolinea con una punta polemica, «non è una concessione che il presidente del Consiglio ci fa, semmai è nell'interesse del Paese e dello stesso governo avvalersi di chi, come noi, ha esperienza e competenza, non solo politica. Qualità queste che scarseggiano nei partiti della maggioranza».
Disponibile a dare il suo contributo «di idee», l'ex premier sa che così può contare di più e recuperare il suo spazio sulla scena politica. Sa anche quanto questo susciti interesse e aspettative tra i leader di sinistra come il segretario Pd Nicola Zingaretti e l'ex alleato ai tempi del patto del Nazareno, Matteo Renzi. Mentre nel centrodestra suscita sospetti e timori.
E infatti Salvini, in particolare, non lesina frecciate, come l'ultima di ieri: «Non lo capisco, sul Mes Berlusconi parla come Prodi e Renzi. Leggo di disponibilità ad altri governi, la risposta della Lega è semplice: prima va a casa questo governo e gli italiani tornano a esprimersi liberamente, meglio è per gli italiani. Mi auguro che nessuno nel centrodestra sia disponibile a sostenere altre robe strane».
È chiaro che indispettisca il Capitano un Berlusconi pronto a sedersi, come dice, ad un «tavolo per far ripartire l'Italia, che coinvolga le forze migliori del Paese: non solo la politica, ma l'imprenditoria, l'università, le banche, la cultura, la scienza». Ma è anche vero che sull'ipotesi di un esecutivo istituzionale guidato da Mario Draghi, personaggio che il Cav ha sempre evocato e stimato, stavolta mostra maggiore cautela: «I profeti li lascerei nella Bibbia, dove peraltro si occupavano di cose più importanti. Se matureranno le condizioni per un governo diverso da questo, le valuteremo con i nostri alleati. Ma un governissimo con tutti dentro, non credo sia né possibile né desiderabile».
Quanto alla collaborazione per uscire dalla crisi legata alla pandemia, il leader azzurro avverte che «ascoltare l'opposizione non può essere solo un gesto di cortesia formale, deve tradursi nel concordare concretamente le scelte da fare». E indica la strada, quella di uno «shock fiscale» con la flat tax e la sospensione delle imposte per tutto l'anno; un intervento sulla giustizia e il ricorso al Mes, perché «rinunciare a 37 miliardi, praticamente a costo zero, è una follia».
La posizione di Berlusconi, ben distante dagli alleati, gli fa acquistare peso politico, al di là dei voti. Zingaretti già s'illude che non esista più il centrodestra, per le scelte diverse sul Mes. Renzi s'interroga e manovra. E su un altro piano, quello della riforma elettorale in cantiere, si potrebbero registrare convergenze trasversali sul proporzionale, così come sulle critiche all'attendismo dell'ondivago Conte, che indispettisce pure tanti nel Pd e in Iv.
Sulle nuove regole per il voto ci potrebbe essere un dialogo tra parte della maggioranza e gli azzurri, che al contrario di Lega e Fdi preferiscono il sistema in cui ogni forza corre per sé e non nella coalizione. Renato Brunetta l'ha detto chiaramente: «A me il maggioritario fa venire l'orticaria, proporzionale tutta la vita».
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